Il fenomeno, non alternativo ma integrato alla vita più propriamente urbana, è stato favorito da esigenze di sicurezza e dalla particolare configurazione morfologica del suolo: la relativa tenerezza della roccia locale, infatti, ha permesso l'escavazione del tufo della Murgia e la conseguente realizzazione di abitazioni domestiche, laboratori per attività agricole, chiese e cimiteri, raggruppati spesso in veri e propri villaggi, dove si viveva di lavoro nei campi e liturgie cristiane, in comunità che annoveravano la componente laica e quella monastica. Gli insediamenti rupestri di Fasano – che nel Medioevo apparivano collegati fra loro (e con i centri urbani circostanti) da un efficiente sistema stradale – erano prevalentemente ubicati nelle cosiddette “lame”, i solchi creati dall'erosione fluviale in discesa dalle colline alla costa. L'azione continua delle acque ha infatti prodotto l'avvallamento del terreno e un dislivello altimetrico che ha consentito l'utilizzazione per fini costruttivi della pietra calcarenitica, intaccando le pareti delle stesse “lame”. Attualmente, sono riconoscibili in zona almeno 25 insediamenti rupestri: tuttavia, essendo spesso collocati nelle campagne, risultano difficilmente raggiungibili e visitabili, anche per lo stato di abbandono e degrado da cui sono sovente attanagliati. A salvarsi dal disastro sono soprattutto quei luoghi conservatisi grazie alla vicinanza di alcune masserie, che in età moderna ne hanno utilizzato gli ambienti per deposito oppure ne hanno preservato amorevolmente l'integrità, una volta compresa la valenza storico-artistica. All'ambiente rupestre sono associabili talora alcune deliziose chiesette rurali, edifici ecclesiastici che fra alto e basso Medioevo si preferì erigere sub divo piuttosto che nel calcare.
L'itinerario consigliato. Il giro attraverso gli antichi villaggi o casali in rupe può cominciare dalla masseria Ottava Grande, che è raggiungibile dalla s.s. 16 sul tratto Fasano-Ostuni, nei pressi della frazione di Montalbano, deviando verso la s.s. 379 e innestandosi sulla provinciale di collegamento. A circa un chilometro dall'imbocco si scorge sulla sinistra la costruzione fortificata a torre del XVI secolo, nel cui cortile sorge la chiesa di San Pietro de Octava, risalente al XII secolo, che conserva la denominazione di una cripta rupestre convertita in cisterna, sul fianco della lama confinante. Appartiene al gruppo di edifici medievali pugliesi coperti da cupole in asse a tre navate con relative absidi sporgenti e profilate da archetti pensili. Sulla facciata si eleva un campanile a vela settecentesco, mentre l'ingresso presenta, al di sotto di un oculo circolare con cornice appena rilevata, un protiro poggiante su colonnine, dotato di una decorazione a rilievo a “denti di sega” (al pari del portaletto del lato settentrionale), tipico dell'età angioina. Un piccolo accesso è stato ricavato per la navatella destra, da cui si può entrare all'interno della costruzione, sostenuta da sei pilastri cruciformi con semicolonne addossate: la navata centrale è caratterizzata da tre cupole in asse, mentre quelle laterali posseggono volte a crociera. Sulla controfacciata si nota un prolungamento delle navate di epoca certamente successiva all'impianto originario, con copertura a botte unghiata su archetti ogivali (XVI-XVII secolo): la chiesa, in effetti, ha subìto dei rifacimenti, testimoniati anche dall'altare in pietra e dall'intonaco affrescato “a grottesche” della zona presbiteriale (XVIII secolo), dove risalta l'effigie di una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Sulla parete nord interna, si intravedono tracce di affreschi raffiguranti teorie di santi di iconografia orientale (XII secolo). La chiesa di San Pietro de Octava è menzionata per la prima volta in una bolla del 1180 del papa Alessandro III a Stefano, vescovo di Monopoli, in cui si enumerano le terre, i casali e le chiese sottoposte alla giurisdizione vescovile.
Giunti a Fasano, l'insediamento rupestre di San Marco è raggiungibile prendendo via San Lorenzo, proseguendo oltre la masseria di S. Angelo de' Graecis per circa due chilometri, e attraversando un ponte, subito dopo il quale bisogna svoltare a destra per un tratturo male asfaltato. Nella vallata sottostante all'omonima e magnifica masseria fortificata si trovano diverse grotte, adibite ad abitazione e a refettorio con celle per i monaci, di fronte alle quali si apre una cappella affrescata, rimaneggiata e trasformata nei secoli in frantoio: fra le pitture residue, nel catino absidale, appare un'insolita Deesis, con un Cristo Pantocratore benedicente alla greca, affiancato dai Santi Cosma e Damiano (XI-XII secolo). Meglio conservato è invece il ciclo pittorico di San Lorenzo: per arrivarvi, si percorre la provinciale che da Fasano conduce a Savelletri, e dopo circa 2 km. si imbocca una via campestre che porta, dopo 700 metri, nei pressi della masseria Monacelli. A piedi si entra nella lama, ricchissima di testimonianze rupestri, con grotte anche a due piani. La cripta, a pianta trapezoidale, è composta da naos e bema, divisi da un'iconostasi. Il naos è quadrangolare, con pilastro centrale da cui si dipartono in successione un paio di arcate con funzioni di sostegno, che dividono l'ambiente in due navate. Fra gli affreschi parietali, San Giorgio a cavallo che trafigge un drago. Il bema, rettangolare e leggermente curvilineo, è caratterizzato da due absidi: quella meglio conservata ospita al centro una classica Deesis (Maria, Pantocratore e S. Giovanni Battista), oltre agli arcangeli Raffaele e Gabriele. Sulla parete occidentale, fianco a fianco, S. Benedetto e S. Basilio, cui segue una protesis con S. Stefano. Nello spazio fra le absidi, immagini sacre di S. Nicola (cui doveva essere dedicato il luogo di culto), S. Paolo, S. Pietro e il diaconicon con S. Euplo e l'altare, per un palinsesto di pitture databile alla fine dell'XI secolo. Non lontano da San Lorenzo è la cappella di San Giovanni, nella lama detta Tammurrone: pervenirvi è semplice, poiché è sita proprio alle spalle della tipografia di Schena Editore, sulla strada che conduce allo scalo ferroviario fasanese. Accessibile tramite una scala modernizzata, la cripta ha una pianta rettangolare, e presenta la distinzione in nartece, naos e bema, con un'iconostasi (restaurata) a tre aperture. Nel nartece, sul muro nord, si notano raffigurazioni zodiacali dei mesi dell'anno, insieme alla scena dell'ingresso di Cristo a Gerusalemme. Nel naos sono riconoscibili figure di S. Giorgio, della Madonna (tipo Nikopoia), di S. Benedetto e l'iscrizione esegetica Simson fortis, riferibile al passo biblico tratto dal Libro dei Giudici, XIV 5-6 (Sansone che uccide il leone), simboleggiante la venuta di Cristo sulla terra e la sua vittoria sul diavolo. Sull'iconostasi, un tondo con aquila allude a S. Giovanni, e un altro con angelo a S. Matteo. Nell'abside del bema c'è la Deesis con Maria, il Pantocratore e S. Giovanni Battista, orlata sui lati dall'annunciazione con l'arcangelo Gabriele (a sinistra) e la Madonna (a destra). Ancora immagini di S. Andrea, di S. Giovanni Battista (in una nicchietta, sostenente un cartiglio con l'iscrizione ECCE AGNUS-DEI EC - CE QUI - TOLLIT) e di S. Cataldo completano il rivestimento di dipinti del presbiterio. Gli affreschi del bema sono i più antichi (XII secolo), mentre quelli del nartece e del naos appaiono cronologicamente successivi. La cripta di San Giovanni doveva essere destinata all'ufficiatura del battesimo per immersione, cui rimanda anche la vasca a gradini tuttora visibile vicino all'entrata meridionale.
Proseguendo sulla provinciale per Savelletri, superando il cavalcavia ferroviario e dopo avere svoltato a destra, si giunge al villaggio di Lama d'Antico, facilmente individuabile nell'avvallamento sulla sinistra: si tratta di uno fra gli insediamenti rupestri più vasti della Puglia, formato anche da edifici in muratura, già attivo probabilmente dal X secolo d.C.. Si è calcolato che potesse ospitare una comunità di circa 700-800 persone: ed è interessante scoprire grotte che comprendevano trappeti, farmacie, laboratori, mulini, depositi e abitazioni, realizzate mediante lo schema tipico del vano unico anteriore prospiciente la strada, e l'alcova interna per il ricovero degli animali e la custodia delle provviste. Il fulcro dell'abitato, caratterizzato da numerosi pozzi e canali per l'approvvigionamento idrico, da scalette, stalle e zone cimiteriali, è certamente il luogo di culto cristiano, posto in posizione sopraelevata, a costituire una delle più grandi chiese rupestri della regione: vi si perviene camminando per circa 500 metri sulla strada che attraversa la lama. L'ecclesia si articola in una navata centrale rettangolare e absidata, che doveva essere originariamente sormontata da una cupola oggi scomparsa e costruita presumibilmente a secco con copertura a scaglie di pietra o embrici, e da una navatella laterale più piccola, nella quale è intagliata una cattedra, indizio presumibile di una qualche attività liturgica episcopale. Una serie di archetti è scavata da sinistra lungo il muro perimetrale che dall'entrata va fino al seggio vescovile, con alcuni sedili ricavati nella roccia. Al centro dell'abside si notano i resti dell'altare, varie nicchie e, sotto la cupola, una tomba e un fonte battesimale. Sempre nell'abside si trovano le tracce di pittura più chiare, con una Deesis dell'XI-XII secolo composta dal Cristo in trono, inserito in una mandorla fra l'Odegitria (Madonna Nikopoia) e il Precursore (San Giovanni Battista). In basso compaiono tracce dei simboli apocalittici degli Evangelisti (il leone per San Marco, il bue nimbato per San Luca). Gli affreschi adornano tutti gli altri spazi parietali, compresi gli archetti ciechi, in cui risaltano diverse figure di santi-vescovi: si riconoscono San Filippo, San Biagio, San Cosma e Damiano, San Martino e ancora Santo Stefano, San Teodoro e San Lorenzo sul muro di separazione fra le navate, insieme a numerose immagini anonime, frutto di affreschi e palinsesti inerenti ad epoche e stili pittorici differenti. Esternamente, la facciata della piccola basilica è abbellita da un portale a lunette a triplice cornice, con tracce di pittura evanide. Sul fianco destro vi è una cappella di ridotte dimensioni, con due ingressi, pianta a croce greca, naos e bema separati da iconostasi, vasca battesimale e catino absidale: può essere stata la prima chiesetta di Lama d'Antico (in cui si praticava il rito greco-ortodosso, antecedente alla riforma del rito latino, introdotto nell'XI secolo con l'arrivo dei Benedettini), soppiantata dalla maggiore per esigenze di spazio, e utilizzata quindi come battistero. Il giro fra l'habitat rupestre potrebbe continuare in contrada Coccaro con Santa Vigilia, presso i tenimenti degli Abbaterisi, o con San Francesco, vicino alla omonima masseria. In contrada Carbonelli, con San Basilio. Oppure con Lamalunga, sulla s.s. 16 che congiunge Fasano con Monopoli al km. 853, o ancora con Sant'Andrea e Procopio, in località L'Assunta: ovunque si rimarrebbe incantati dallo sguardo dei santi effigiati, dalla storia che ha in questi luoghi un respiro tutto particolare, quasi bloccato in un istante di mille anni fa. Povere di immagini sacre, ma comunque meritevoli di attenzione per l'assetto topografico che esprimono, appaiono inoltre le grotte medievali giacenti nei pressi della Difesa di Malta, zona agricola situata poco a sud di Torre Canne; nella frazione di Pozzo Faceto, dove sono visibili i resti di un popoloso casale rupestre, al di sopra del quale è sorto successivamente il Santuario della Vergine Protettrice, la cui effigie adornava uno degli ipogei interrati; presso la masseria Sciurlicchio e quella di Lamacupa, vicino a Pezze di Greco, ricche di vani predisposti per la lavorazione delle olive. E ancora nel complesso criptologico di San Nicola, sulla strada che conduce al Capitolo verso il territorio di Monopoli, e di Fascianello, posto alle spalle della masseria Maccarone, mentre più nell'entroterra si trova l'insediamento di Campranella, poco fuori Fasano: l'indagine potrebbe continuare quasi all'infinito, tali e tanti sono i luoghi in cui la popolazione medievale locale volle scavarsi una casa, un laboratorio, un ricovero per le bestie. Più d'ogni altra cosa, tuttavia, val la pena di rendere visita ad uno dei gioielli architettonici di Fasano, il Tempietto di Seppannibale, un delizioso edificio di tradizione longobarda, risalente alla fine dell'VIII secolo d.C., ed eretto in coincidenza con l'avvento di Arechi II a Benevento, ducato (e poi principato) della Longobardia Minor. Lo si può intercettare a vista sulla s.s. 16, al confine fra il territorio fasanese e quello monopolitano, a circa 4 km. dal centro cittadino, poco dopo il distributore di benzina, svoltando in un vialetto sulla destra che conduce alla masseria di proprietà Calefati. Il tempietto, dedicato a San Giovanni Evangelista o alla Vergine, è a pianta quadrangolare con tre navate: quella centrale, coperta da due cupole in asse, è absidata, mentre le laterali hanno la volta a semibotte. Il sostegno della struttura è affidato a pilastri monolitici con capitelli scolpiti a palmette allungate e nervature. Gli ingressi sono da nord e da ovest, con resti di un protiro per l'accesso occidentale. Architettonicamente, il referente principale è nel beneventano Sant'Ilario a Porta Aurea. Sull'arco absidale, inoltre, è scolpita l'iscrizione + HUNC TEMPLUM DI EGO FIAERI ROGAVIT, nel cui monogramma è celato presumibilmente il nome del vescovo committente. E la meraviglia è nel ciclo pittorico interno, destinato a rivelare ai credenti il mondo dell'apocalisse: l'annuncio di Gabriele a Zaccaria nella navatella sud-est; la scena di rivelazione di S. Giovanni Evangelista nella cupola est; le sette lampade, la donna con le ali e il dragone nella cupola ovest; Santa Giulia, San Lorenzo, Santo Stefano e un ignoto nei tamburi. Qua e là, ornamenti floreali e geometrici, una presunta immagine di Gerusalemme, dodici teste di apostoli, vasi e anfore, pavoni e uccelli, una mano riprodotta due volte, una ruota con velum, e una testa di Cristo. Gli apparati figurativi si pongono lungo un'ideale linea di continuità rispetto agli affreschi di Santa Sofia a Benevento e ai posteriori dipinti di San Vincenzo al Volturno.
Il Tempietto di Seppannibale, ricadente nei possedimenti longobardi, doveva verosimilmente servire la comunità di un villaggio o di un casale, le cui tracce, cancellate dal tempo e polverizzate nei secoli, sono miracolosamente riemerse grazie alle nuove ricerche archeologiche iniziate nel 2003 da un'équipe dell'Università di Bari guidata dalla prof. Gioia Bertelli: è stata così dimostrata una frequentazione antropica nei terreni agricoli circostanti fin dall'epoca romana.