NATURA E CULTURA 4
Il centro storico
Il centro storico di Fasano, anticamente chiamato “Ter-ra”, era in origine circondato da alte mura e da quattro possenti torrioni,
che lo racchiudevano in un quadrilatero comprendente piccole viuzze e case addossate l'una all'altra, imbiancate con latte di calce. Molte candide abitazioni del centro storico si sono conservate integre. Lo stesso non è accaduto, invece, per le mura e per tre delle quattro torri. Ci resta, purtroppo, solo il Torrione di via S. Francesco (sec. XV), sul lato meridionale della città vecchia, testimone di pietra, muto ma suggestivo, sopravvissuto alle ingiurie del tempo.
Risalendo dal verde Parco della Rimembranza, al cui centro è posto il Monumento ai Caduti fasanesi in guerra, e ove anticamente erano le cosiddette “Fogge” (pozzi di acqua piovana usati come riserva idrica del paese), si giunge in piazza Ignazio Ciaia, intitolata al patriota-poeta, presidente e martire della Repubblica Napoletana del 1799.
La piazza è il centro vitale della città, punto di riferimento e di ritrovo per tutti i fasanesi. In essa si affacciano i bei palazzi signorili e il Palazzo Municipale, costruito su buona parte dell'antico castello baliale, la cui spettacolare loggia balaustrata con 18 archi fu distrutta agli inizi del '900 per realizzare l'attuale facciata dalle severe forme neoclassiche. La figura del Ciaia è ricordata anche da una lapide posta sul muro del Municipio e da una artistica scultura del barese Mario Piergiovanni, allocata nell'androne del palazzo.
Su piazza Ciaia si affaccia anche la Chiesa di San Nicola, edificata fuori delle mura per volontà testamentaria di Donato Antonio Paternò, e aperta al pubblico nel 1596. Fu il committente a volere l'intestazione al Santo di Myra, lasciando «entro una cascia 700 ducati contanti di diverse monete» da usare per le spese di costruzione. Nel 1887 la chiesa passò sotto il patronato del principe Vincenzo Telesio, che ne ordinò un restauro e la dedicò alla Vergine del Rosario come ringraziamento per la guarigione della moglie Beatrice Antonacci. Altri restauri sono stati eseguiti nel 1988 a cura della Confraternita Maria SS. del Rosario, alla quale appunto la chiesa è affidata. All'interno, spiccano un altorilievo in pietra polìcroma raffigurante S. Nicola, un pregiato organo ottocentesco e statue realizzate da cartapestai leccesi, tra cui S. Domenico, Cristo Risorto, S. Caterina e i SS. Medici Cosma e Damiano, molto venerati.
Dirimpetto all'ingresso del Comune si può ammirare la Torre dell'Orologio, che si innalza sulla sede dell'Azienda di Promozione Turistica, il cui loggiato dona armoniosità ed eleganza a tutta la piazza. In una grossa nicchia ricavata nella parete del Palazzo Gaito, è sistemata la statua della Madonna del Pozzo, patrona della città, quasi a vegliare idealmente sui suoi protetti. Sul lato opposto va segnalato l'elegante Palazzo Latorre, edificato su due piani nella seconda metà dell'800: caratteristica la sua loggia con balaustra semicircolare lavorata a traforo.
La piazza Ciaia è stata lastricata con pietra bianca locale. Al centro è incastonato lo stemma civico in marmo polìcromo intarsiato, opera del giovane scultore fasanese Donatello Grassi.
Dalla piazza centrale si dipartono le principali vie cittadine: la via del Balì, che conduce nella vecchia “Terra”; il corso Garibaldi; il corso Vittorio Emanuele II; la via Carlo Alberto, dalla quale si ridiscende verso le “Fogge”.
Prima di addentrarci nel dedalo della Fasano antica, facciamo una passeggiata nei due corsi principali. Lo meritano soprattutto per le facciate dei palazzi signorili che li costeggiano.
Ed ecco la prima sorpresa: osservando il corso Garibaldi dalla piazza, si scorge il mare in lontananza. Il corso, delimitato sui due lati da una serie di palazzi in stile neoclassico allineati con prospettiva regolare, raggiunse l'assetto attuale nella prima metà dell'800. Anticamente era detto “corso dei Colucci”, perché dominato dall'enorme palazzo appartenente a questa famiglia, edificato alla fine del XVIII secolo e riportato nel 1994 allo splendore originario del caratteristico rosso “pompeiano”, tipico delle ville napoletane settecentesche che si affacciavano sul golfo di Posillipo. Sui due piani del palazzo (che ha un giardino interno e grandi saloni affrescati) spiccano i preziosi fregi che adornano porte, balconi e finestre.
Di rilievo in corso Garibaldi anche il Palazzo Albano, costruito dal capitano spagnolo Mogavèro nel 1693 su una struttura preesistente annessa alla attigua Chiesa di S. Nicola, e oggi vincolato dalla Soprintendenza come bene di interesse storico-monumentale. Il nucleo originario esisteva già nel 1678, dato che il 2 giugno di quell'anno un saraceno facente parte della masnada che aveva assalito Fasano (v. capitolo storico, n.d.r.) fu inseguito e ucciso nel portone di questo palazzo. L'edificio fu ancora scenario di un altro episodio di sangue il 27 aprile 1799, quando, nel corso degli scontri armati fra realisti e giacobini, «dalla casa di Don Giuseppe Pepe, contigua alla chiesa di S. Nicola, Don Sante Conte tirò fucilate contro i realisti», uno dei quali perse la vita (il racconto è del Sampietro, storico locale). Dunque, dopo i Mogavèro, il palazzo appartenne ai Pepe, famiglia della madre di Ignazio Ciaia, per esser infine acquisito dai Melpignano-Albano intorno al 1916. Esempio di architettura barocca-rococò, peraltro non molto diffusa a Fasano, l'immobile si affaccia su corso Garibaldi con i suoi deliziosi vezzi tardo-settecenteschi. Il piano nobile è percorso da un unico balcone mistilineo poggiante su mensoloni riccamente scolpiti; su di esso, due portefinestre sormontate da alti timpani con volute baciate fiancheggiano una cornice ovale con decorazione a rocailles. Il secondo piano, arretrato rispetto al primo, è caratterizzato da una loggia con tre archi a tutto sesto e balaustra in pietra, a coronamento della elegante facciata. Molto più semplici i prospetti sulle vie Mogavèro e Pepe, mentre la facciata che dà su via San Nicola (proprietà Bungaro), nell'angolo più bello di piazza Ciaia, presenta un loggiato a tre archi sormontato da una terrazza balaustrata e un balconcino con timpano ad archi inflessi che sorregge lo stemma cavalleresco.
L'interno del palazzo comprende una decina di stanze voltate a stella. Vere opere d'arte sono le porte settecentesche a due ante, i cui pannelli dipinti raffigurano scene lacustri e campestri, fiori e uccelli. Le porte sono completate da cornici finemente intagliate che riprendono nella parte superiore la decorazione mistilinea e rococò delle facciate esterne. L'arredo delle sale, sobrio e discreto, è collocabile nell'area veneta settecentesca.
Ci spostiamo ora nel corso Vittorio Emanuele, dove, sulla sinistra, scorgiamo subito la monumentale facciata tardo-barocca della Chiesa Anime del Purgatorio. Eretta nel 1696, come è attestato dal cartiglio posto sull'architrave del portone d'ingresso, subì un primo restauro nel 1776. E settecentesca è appunto la sua concezione architettonica, considerata un tipico esempio di committenza confraternale (fu la congrega “Pio Monte del Purgatorio” a farla edificare). Ricca di decorazioni barocche, la chiesa conserva nella sua unica navata un bellissimo altare maggiore in marmo polìcromo di scuola napoletana, tele e affreschi settecenteschi dei pittori Nunzio Bonamassa (S. Michele, Beata Vergine del Suffragio, S. Nicola da Tolentino, S. Croce), Domenico Carella e Ottavio Lavagna, 11 piccoli dipinti della Via Crucis d'autore sconosciuto (mancano purtroppo tre “stazioni”: prima, quarta e decima), un coro ligneo del XVIII secolo, un organo settecentesco posto sulla bussola lignea sempre del XVIII secolo. Il tronetto per l'esposizione eucaristica è opera di un ignoto artigiano intagliatore. Gli altari laterali di sinistra sono dedicati a S. Nicola da Tolentino e al Cristo Morto (bellissimo l'ottocentesco simulacro in cartapesta); quelli di destra a S. Michele e all'Addolorata, la cui statua, collocabile nel XVIII secolo e protagonista di una affollatissima processione nella tarda sera del Venerdì Santo, è l'immagine sacra in assoluto più amata e venerata dal popolo fasanese. Da non trascurare infine la nicchia col busto di S. Francesco da Paola e il cosiddetto “tesoro” della confraternita: calici, turiboli, pissidi, ostensori, candelieri, stiletti e reliquiari (piccole opere d'arte, tutte in argento).
Proseguendo la passeggiata nel corso Vittorio Emanuele incontriamo sulla sinistra un altro palazzo settecentesco, quello appartenuto alla famiglia Ciaia, anch'esso tinteggiato col tipico colore rosso. Questo edificio fu al centro dei tumulti scoppiati il 7 febbraio 1799, quando i legittimisti tentarono di incendiarlo in odio alla fazione repubblicana, della quale i Ciaia erano i principali esponenti (v. capitolo storico, n.d.r.).
Qualche metro ancora ed ecco, di fianco ad una villetta fiorita, la Chiesa S. Antonio Abate, le cui origini risalgono al convento dei frati Minori Osservanti costruito nel '600 con pubblica sottoscrizione. Nel corso del tempo questa chiesa ha subito notevoli trasformazioni e ampliamenti, soprattutto ad opera dei due parroci don Sante Perna (fondatore anche dell'Istituto “Casa Orfani del Sacro Cuore” in contrada Matarano) e don Nicola Carbonara. Attualmente l'edificio sacro si presenta con forme neoclassiche e con un cupolone che si erge su un alto tamburo, culminante in una lanterna anch'essa di forma circolare. Il campanile è cuspidato “a cipolla”. Gli altari laterali di sinistra sono dedicati a S. Lucia e a Maria SS. del Rosario. A destra troviamo un altare dedicato a S. Antonio da Padova e una cappelletta consacrata alla Divina Passione. Fra le tele più rilevanti ricordiamo il S. Antonio Abate, il S. Francesco d'Assisi e la Madonna degli Angeli. Fra le statue quella del Sacro Cuore di Gesù e, ovviamente, quella di Sant'Antonio Abate. L'altare maggiore è dedicato all'Immacolata, “intestataria” pure della confraternita che ha sede in questa parrocchia. Di notevole interesse artistico e architettonico è il seicentesco Chiostro dei Minori Osservanti, facente parte del nucleo chiesastico di S. Antonio. È costituito da un quadrilatero con portico voltato a stella. Sulle pareti, nelle numerose lunette affrescate (restaurate di recente), è descritta la vita del Poverello di Assisi.
Per la presenza della chiesa antoniana, il corso Vittorio Emanuele era denominato in passato “stradone di Sant'Antonio”.
Uscendo dalla chiesa di S. Antonio non possiamo fare a meno di soffermare lo sguardo sulle facciate dei due splendidi palazzi nobiliari settecenteschi che le stanno proprio di fronte. Bellissimo, in particolare, il balcone centrale del Palazzo Mancini-Merelaco.
Ripercorriamo ora a ritroso il corso e, tornati in piazza Ciaia, ci addentriamo dalla via del Balì nel nucleo più antico di Fasano. Una lapide posta sulla destra all'inizio della via, con epigrafe latina, ricorda ai viandanti una pagina di storia di questa città: la “vittoria sui Turchi” del 2 giugno 1678 (v. capitolo storico, n.d.r.). Via del Balì collega la piazza, e quindi il borgo “nuovo”, alla vecchia “terra”, un labirinto di candide viuzze, archi imbiancati a calce, scale e balconcini. In dialetto, tale caratteristico groviglio di “case alla fasanese” (piccole abitazioni tipiche formate da tre vani: sala, alcova e camerino) si chiama u 'mbracchie, forse perché la ristrettezza delle stradine impedisce al sole di stendervi i suoi raggi, lasciandole appunto perennemente in ombra.
Sul lato destro vediamo subito l'Arco del Balì, un grande portale barocco in pietra gentile, detto anche “arco del Cavaliere”, da cui si accede al cortile del vecchio castello, sede del Balì dei Cavalieri di Malta e della guarnigione militare. L'arco fu fatto riedificare dal Balì Fabrizio Francone nel 1758.
Il castello, invece, era già esistente nel 1589, quando risulta che il Balì Avogadro lo restaurò: è una delle tante testimonianze della secolare signorìa dell'Ordine melitense sulla città di Fasano. Oggi, come già detto, in luogo dell'antico castello sorge il Palazzo del Municipio.
La via del Balì sbuca nella graziosa piazzetta del largo Seggio, sulla quale si affacciano la loggia a tre archi (ora tompagnati) dell'antico Palazzo dell'Università (Universitas Fajanensis era la denominazione della municipalità cittadina) e la sede della Biblioteca Comunale “Ignazio Ciaia”, centro propulsore di molte iniziative culturali.
Il largo Seggio immette a sua volta nel largo S. Giovanni Battista, dominato dalla monumentale facciata della Chiesa Matrice, la quale è intitolata appunto al Battista, patrono di Fasano (insieme alla Madonna del Pozzo) e protettore dei Cavalieri di Malta (detti anche Giovanniti), che dal 1317 al 1808 ebbero sulla città la giurisdizione civile ed ecclesiastica. Aperta al culto nel 1600, la chiesa di S. Giovanni, come oggi la vediamo, fu iniziata attorno al 1580 e terminata nel 1599. Venne consacrata il 17 giugno 1742 da mons. Vinditti, vescovo di Polignano. È il risultato dell'ampliamento di una preesistente cappella trecentesca, dedicata a S. Maria de Fajano. Una memoria storica del 1327 registra infatti la deliberazione di demolire l'«antico tempietto» esistente sulla stessa area per far posto a un edificio sacro più ampio e più degno della città. Quello degli anni 1580-1599 fu quindi, in realtà, un vasto rifacimento.
La facciata in tufo calcareo e carparo, di maestose proporzioni, è articolata su due ordini di paraste (quattro per ciascun ordine) sormontate da capitelli corinzi. Quattro nicchie inquadrate da trabeazioni classiche, distribuite sui due ordini, alleggeriscono il prospetto. Il portale di accesso è anch'esso delimitato da trabeazione, fiancheggiato da colonne scanalate e sormontato da un timpano con bassorilievo raffigurante la Vergine col Bambino. Lo splendido rosone, finemente intagliato, è un capolavoro di scultura artigianale. La facciata è completata da un grande timpano triangolare, al cui vertice è sistemata una statua in pietra del patrono San Giovanni Battista benedicente. La facciata della Matrice, recentemente ripulita e restaurata, rappresenta una delle più interessanti testimonianze di architettura tardo-rinascimentale in ambito regionale.
Sul fianco sinistro svetta il baroccheggiante campanile a base quadrata, costruito in tempi lunghissimi su disegno del Magarelli e terminato nel 1763. Originariamente era chiuso in cima da una struttura “a cipolla”: colpito da un fulmine il 15 febbraio 1897, fu parzialmente demolito perché pericolante. L'attuale configurazione della torre campanaria, articolata su tre livelli, prevedeva un maggiore sviluppo in altezza (dopo la bìfora e la trìfora anche una quadrìfora), ma l'opera è rimasta incompiuta. Nel 1986 cinque nuove campane elettriche, fornite dalla ditta Marinelli di Agnone (Isernia), si sono aggiunte alle antiche campane del '700 e dell'800.
L'interno della chiesa, a pianta basilicale e con notevole dimensione plano-altimetrica, presenta tre navate, quella centrale e due laterali più piccole, articolate in quattro campate coperte da volte a botte unghiata, sostenute da arconi a tutto sesto e divise da grossi pilastri intermedi. Le ricche decorazioni a stucco della volta della navata principale, opera di artisti e artigiani fasanesi, hanno un chiaro riferimento locale nei medaglioni che raffigurano l'Agnello, simbolo del Battista, e lo stemma della città sovrapposto alla Croce di Malta. Sul transetto si erge la grande cupola ovale con quattro pennacchi dipinti dal fasanese Ferdinando Schiavone.
I diversi ammodernamenti e ampliamenti subiti nel tempo hanno compromesso, purtroppo, l'uniformità stilistica della chiesa. Nel XVIII secolo l'impianto rinascimentale subì contaminazioni di stile barocco. Poi, l'originario soffitto a capriate fu sostituito dall'attuale volta a botte. L'edificio era a croce latina, terminante con il coro e con le statue lignee di S. Pietro e S. Paolo, visibili nelle due nicchie poste in alto ai due angoli del presbiterio. Successivamente, nell'abside venne aggiunto il cappellone superiore, dove oggi sono allocati il grande organo a canne e la statua della Madonna di Pozzo Faceto. Fu il notabile fasanese don Ferdinando Reale a finanziare i lunghissimi lavori, voluti proprio per dare degna collocazione all'immagine della Protettrice. Il pavimento in marmo, messo in opera nel 1910, ricopre quello antico fatto di lastroni di pietra, che formavano una sorta di scacchiera insieme alle botole delle fosse sepolcrali sistemate in tutto il sottosuolo. Durante i restauri del 1948 vennero disseppellite grandi quantità di ossa, e altre ancora ne sono rimaste.
Gli antichi altari barocchi laterali, ad esclusione del bellissimo altare ligneo a foglia-oro della Vergine del Rosario (nella navata sinistra) e di quello del SS. Crocifisso in pietra polìcroma (sempre a sinistra), furono rimossi durante i lavori di restauro effettuati negli anni 1967-1970, quando vennero eliminati pure gli stucchi e le decorazioni settecentesche. Gli altari laterali, di cui oggi rimangono nei siti originari solo le tele, erano cappellanìe gentilizie di famiglie nobili fasanesi. Era stato l'abbattimento delle loro pareti divisorie (eseguito a fine '800) a consentire l'apertura delle due navate minori e delle rispettive porte secondarie di ingresso nella chiesa. Circa vent'anni fa, anche il marmoreo altare maggiore, consacrato a S. Giovanni e a S. Anna, è stato spostato nell'attuale cappella del SS. Sacramento, al termine della navata destra.
In questa cappella, decorata nel 1777 dal materano Nunzio Bonamassa, è allocata pure una icona cinquecentesca della Madonna di Costantinopoli (tempera su tavola di cm. 100x80 circa), di artefice forse locale. È sovrastata dallo stemma civico col Faso e presenta analogie con una Madonna della Greca che si trova a Putignano, facendo supporre un'identica committenza nell'abbazia melitense di S. Stefano (alla quale Putignano, come Fasano, era soggetta).
La navata sinistra si conclude invece con la cappella dedicata a S. Giuseppe (precedentemente a S. Carlo Borromeo): la statua del Santo, realizzata nel 1888, è opera dei cartapestai leccesi De Pascalis e Manzo e dell'artigiano fasanese Pietro Massari. Sul petto di San Giuseppe si nota un reliquiario d'argento con un giro di rubini, fatto a spese e devozione di Filomena Barbariccia. Le aureole del Santo e del Bambino sono in metallo argentato. Il bastone è in legno argentato con fiori di canuttiglia (striscioline d'oro e d'argento attorcigliate).
Subito dopo la cappella giuseppina c'è una porta dalla quale si accede all'Oratorio della Confraternita del SS. Sacramento, eretto nel 1608 e ampliato nel 1860, ove si conservano la statua dell'Addolorata e le due grandi statue di Gesù portacroce e Gesù crocifisso che vengono portate in processione dalla citata congrega la mattina del Venerdì Santo.
Pregevoli tele di scuola veneziana e napoletana, statue e reliquiari testimoniano ancora l'antica ricchezza della Chiesa Matrice. Tra i dipinti segnaliamo la grande tela della Circoncisione, posta nella seconda cappella della navata laterale destra (opera di autentico pregio nonostante il degrado dei valori pittorici), la Madonna con il Bambino e S. Anna, e il S. Giovanni Battista nel deserto, una tela databile tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, recentemente restaurata e ora collocata in sacrestia. Vi è raffigurato il Santo rivestito di pelli sullo sfondo di una fonte, secondo un'iconografia che fu cara anche al Veronese. È probabile che quest'opera fosse quella che ai primi del '700 adornava l'altare dedicato al Battista, sistemato tra quelli della navata destra, altare che successivamente cambiò titolo determinando la rimozione del quadro.
Di assoluto rilievo sono poi le “stazioni” della settecentesca Via Crucis, sette delle quali, purtroppo, furono sottratte nel 1995 e non più recuperate. Le piccole tele sono sistemate sui pilastri che separano le navate: quelle mancanti sono state sostituite da riproduzioni. Le statue più antiche sono quella di S. Anna e le tre sculture lignee formanti il gruppo del Calvario, attualmente collocate in fondo alla scala da cui si scende nella cripta. Questo ambiente ipogeo è stato ricavato esattamente sotto il presbiterio, dopo lo sgombero di due vasti sepolcreti. Vi si possono ammirare alcune splendide icone realizzate in epoca moderna dall'artista Emiliano Tironi. Tra le preziose reliquie che si conservano in Matrice ricordiamo le ossa di S. Fortunato (donate dal nunzio apostolico della S. Sede nel Regno di Napoli), il teschio di un S. Pio (che era tenuto dalla famiglia Mignozzi), il teschio e varie ossa di S. Crescenzione (provenienti dalle catacombe di Priscilla), alcuni frammenti della S. Croce, le tibie di S. Clemente Martire e di S. Pietro Celestino.
Addossata al fianco destro della facciata della Matrice è la piccola Chiesa S. Maria Assunta in Cielo, in stile barocco, con timpano mistilineo e cuspide “a cipolla” sul campanile. Integralmente restaurata nel 1999, fu costruita nel 1727 con pubblica sottoscrizione e con un “munifico” del re Ferdinando IV di Borbone. Fra le tele che vi si conservano citiamo la Presentazione di Gesù Bambino al Tempio, l'Annunciazione, la Visita di Maria a Elisabetta, la Madonna in ritiro al Tempio, la restaurata Anime purganti e l'Assunta (alcune di queste provengono forse dalla chiesetta Madonna del Castello, oggi scomparsa). L'altare centrale è sormontato dal gruppo scultoreo che raffigura L'Assunta. Negli altari laterali le statue di S. Vincenzo, dell'Addolorata, di S. Rita e di Gesù Morto. Quest'ultima, drammatica e suggestiva, è oggetto di particolare devozione popolare nella processione della sera del Venerdì Santo.
Sul fianco sinistro della Matrice c'è invece la Chiesa S. Giuseppe, edificata all'inizio del '900, consacrata nel 1923 e oggi destinata a oratorio e sala per incontri culturali. Anch'esso restaurato di recente, il piccolo edificio sacro di sapore neoclassico s'è arricchito nel 1994 di sei vetrate polìcrome realizzate con tecnica “tiffany” dall'artista locale Adelaide Forcella: le quattro sistemate nella cupola rappresentano gli Evangelisti; quella dell'altare, S. Giuseppe col Bambino in braccio; quella del rosone, una Croce da cui s'irradia un'esplosione di luce, e intorno la spiga e l'uva, simboli eucaristici. La maggiore attrattiva della chiesa di S. Giuseppe è comunque il dipinto Morte di S. Carlo Borromeo, una tela di grandi dimensioni (cm. 270x202) ascritta al XVII secolo e di proprietà della Parrocchia Matrice. In origine l'opera, eseguita presumibilmente da un anonimo pittore locale, adornava la cappella sita in Matrice immediatamente a sinistra dell'altare maggiore. Quando il patronato di tale cappella passò da San Carlo a San Giuseppe, il quadro fu rimosso. Ritrovata in un locale di servizio della chiesa parrocchiale, la tela è stata restaurata nel 1993 e quindi sistemata su una parete laterale della chiesa di S. Giuseppe. Il probabile committente, Emilio Saccano, nipote del Balì di S. Stefano, si fece verosimilmente ritrarre insieme allo zio nei due riquadri in basso, rispettivamente a destra e a sinistra. Il rigorismo dottrinale e morale che traspare dalla tela, la inquadra nello spirito della Controriforma. L'ignoto autore risente senz'altro della cultura tardo-cinquecentesca, come lascia pensare anche l'artificio compositivo del nicchione a destra. Ma nell'alternanza di chiari e scuri, nel contrappunto fra il buio della parte destra e la luminosità della zona sinistra con la Vergine in gloria, si nota pure la lezione luministica della pittura del '600 napoletano, debitrice del Caravaggio. Questa Morte di S. Carlo è idealmente vicina, sia pure inconsapevolmente, alle tele di Gian Battista Crespi, detto il Cerano, artista che dipinse nei primi anni del '600 numerosi episodi della vita di S. Carlo, oggi conservati a Milano. Lo stesso eroismo caritativo e anti-retorico che caratterizza il Borromeo nelle opere del Cerano, costituisce nel dipinto fasanese il titolo di merito su cui si fonda il gesto dell'Angelo che mostra al Santo il premio eterno. Anche le fattezze di San Carlo sono le stesse.
Torniamo adesso in largo Seggio e percorriamo la via S. Teresa, in fondo alla quale si incontra la facciata della Chiesa Maria SS. del Rosario, che faceva parte dell'antico Convento di S. Teresa, eretto in Fasano nell'anno 1600.
L'unica navata dell'edificio sacro, costruito nel 1628-1629, presenta ancora tipici elementi claustrali, come alcune grate e una apertura praticata nel muro per distribuire l'Eucarestia dall'interno della chiesa alle suore raccolte nel coretto (oggi sacrestia). La statua originale di S. Maria del Rosario, posta nella nicchia centrale, fu realizzata nel 1656 per voto della popolazione scampata a una pestilenza. Le tre nicchie di sinistra sono dedicate rispettivamente a S. Vincenzo Ferrer, ai SS. Medici e a Gesù nell'Orto; quelle di destra all'Addolorata e alla Madonna del Carmine (tutte con le rispettive statue). Di rilievo, poi, la statua del Gesù Bambino di Praga, unico elemento rimasto dell'arredo originario: il suo prezioso abito è opera di valenti sarte e ricamatrici locali. Nella chiesa si conservano pure dipinti di scuola napoletana. Molto suggestiva la tela di S. Francesco che riceve le stimmate. In sacrestia c'è un grande affresco che raffigura la Pentecoste.
Le ultime monache cosiddette “teresiane” lasciarono il monastero nel 1908. Tre anni dopo, nel 1911, il Comune concesse la chiesa alla Confraternita del SS. Rosario. Nel 1919 si diede inizio ai lavori di ristrutturazione che, in capo a tre anni, trasformarono l'ampio chiostro del convento nella attuale piazza del Mercato Coperto, alla quale si accede attraversando l'arco che si apre a sinistra della chiesa. Tale piazza presenta un doppio spettacolare porticato sui lati lunghi, ed è impreziosita da un'artistica fontana marmorea centrale in stile littorio.
Rientriamo adesso nel nucleo antico e rifacciamo a ritroso via S. Teresa, fermandoci nella piazzetta antistante alla Chiesa del Rosario per dare uno sguardo alla piccola chiesetta Madonna dell'Arco, ora Madonna della Grazia, al cui interno era collocato un dipinto del pittore locale Ferdinando Schiavone raffigurante l'assalto dei Turchi a Fasano (2 giugno 1678) con l'immagine della Madonna del Pozzo che appare nel cielo per proteggere la città, come vuole la leggenda popolare. L'opera è stata rimossa nel 1978 per essere restaurata.
Nel cuore della vecchia “terra” c'era anche un'altra antichissima chiesetta: quella della Madonna della Stella, risalente al '500 e ubicata nella via omonima. All'interno del locale è ancora visibile la lunetta che sovrastava l'altare. Qui gli affreschi sono andati distrutti. Come pure è scomparsa la chiesetta Santa Maria del Castello, che era integrata nel recinto del Palazzo Baliale (oggi Municipio) e fungeva da cappella privata dei dignitari melitensi.
Altre due chiese sono fuori dal centro storico. La Chiesa S. Francesco d'Assisi (parrocchiale), edificata nel 1885 per conto del Terz'Ordine Francescano, è ubicata in via Gaito. Semplicissima nella sua architettura, ha unica navata e timpano pronunciato. Vi si conservano alcune statue in cartapesta di artisti salentini di grande effetto plastico, tra cui l'Ecce Homo (altare di sinistra) portato in processione il mattino del Venerdì Santo, la Desolata e la S. Chiara. In questa chiesa si venera anche una Madonna della Croce. In seguito al decreto del vescovo di Monopoli mons. Carlo Ferrari, che aveva messo al bando i simulacri di santi con abiti di stoffa, tale statua era stata trasferita nel gentilizio del Terz'Ordine nel cimitero di Fasano, e lì dimenticata fino a quando, apparsa in sogno a una devota, fu riportata in chiesa, restaurata e restituita al culto.
Imboccando da piazza Ciaia la via Carlo Alberto e quindi proseguendo per via San Francesco, si scorge sul fondo la facciata della Chiesa S. Francesco da Paola. Il suo primo nucleo fu costruito nel XVII secolo fuori dalle mura della città, nella privilegiata posizione della parte alta, insieme all'Ospizio dei Minimi, elevato a monastero nel 1716, poi soppresso nel 1806 e quindi, dal 1813, adibito a ospedale. Oggi, infatti, tutto il complesso conventuale fa parte dell'ospedale civile “Umberto I”.
L'origine di questa chiesa è legata alla leggenda del soldato fasanese Leonardo Carrieri, che, per salvarsi in battaglia (si era arruolato nell'esercito spagnolo), fece un voto a San Francesco da Paola. Tornato in patria, prima vestì gli abiti religiosi paolotti presso il monastero di Monopoli; poi, col nome di Fra' Fortunato, chiese al Capitolo di Fasano la concessione di un suolo ove poter costruire l'Ospizio dei Minimi con relativa chiesa. I lavori furono completati nel 1683, ma l'edificio sacro fu ampliato e definitivamente sistemato dal padre Paolo Guarini nel 1740. Centotrenta anni dopo, nel 1870, la chiesa venne completamente restaurata.
La facciata è dominata, alla sommità, dalla statua di S. Francesco da Paola. L'interno è costituito da un'aula rettangolare con transetto e cappelle laterali. L'altare centrale, dedicato alla Vergine de La Salette, fu realizzato interamente in legno polìcromo e stucco (faux marbre), nel 1882, dall'artigiano locale Pietro Massari. In legno sono anche le quattro colonne poste all'ingresso, che è sovrastato da un organo a canne del 1876. A sinistra troviamo gli altari della Pietà (con la statua che viene portata in processione il Venerdì Santo), della Madonna del Carmine, della Crocifissione e di S. Francesco da Paola (con la tela del Passaggio di S. Francesco sullo stretto di Messina). A destra gli altari dell'Assunzione, della Madonna del Pozzo, di S. Lucia e di S. Michele (quest'ultimo con una tela raffigurante La Sacra Famiglia con S. Gioacchino e S. Anna). Tutti questi altari, in pietra locale e stucco, presentano opere d'arte d'origine napoletana o pugliese (sec. XVII-XVIII). Altre tele sono in sacrestia: in particolare, una piccola Natività e un Cristo crocifisso. Da ricordare, inoltre, il pulpito ligneo con base a bulbo, decorato con motivi settecenteschi. La cupola fu dipinta nel 1928 da Ferdinando Schiavone, con otto spicchi raffiguranti le Beatitudini e quattro pennacchi dedicati agli Evangelisti. L'ultimo restauro generale è del 1974.
Il convento paolotto, al quale, come abbiam detto, era annessa la chiesa, aveva all'interno un elegante chiostro, oggi inglobato al piano terra dell'ospedale civile “Umberto I”. Al centro di tale chiostro si può tuttora ammirare una bellissima vera da pozzo di epoca barocca, adornata con mascheroni e volute floreali, terminanti con una croce in pietra gentile. La grazia armonica dell'insieme e la raffinatezza della composizione hanno fatto pensare ad una improbabile attribuzione al Vanvitelli, insigne autore della Reggia di Caserta.
A destra della chiesa, in piazza Moro, si scorge la facciata barocca dell'antico monastero (oggi, come già detto, ospedale), con i suoi balconi a conchiglia chiusi da ringhiere panciute in ferro battuto.
La chiesa S. Francesco da Paola è stata sede provvisoria, dal 1972 al 1986, della parrocchia S. Maria della Salette: fu, probabilmente, proprio un cappellano paolotto a importare a Fasano, alla fine del secolo scorso, il culto della Vergine apparsa nel villaggio francese de La Salette. Nel 1986 la sede parrocchiale è stata trasferita nella nuova, omonima chiesa, costruita in viale Longo, in una zona di recente urbanizzazione.
di Redazione
27/03/2012 alle 00:00:00
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