NATURA E CULTURA 3
La storia: dal loco Fajano alla Città
Il primo documento in cui si fa menzione di Fasano è una chartula donationis del 1009: Maraldo figlio di Vito, da Monopoli, dona a Falco, diacono e notaio, un piccolo terreno «in loco Fajano».
Nell'XI secolo fioriscono in queste zone i “casali”, piccoli nuclei abitati che il Sampietro, lo storiografo locale, collega con la scomparsa di Egnazia: un casale era l'attuale Fasano.
Nel 1088, Goffredo, conte di Conversano, nipote di Roberto il Guiscardo, fonda a due miglia da Monopoli l'abbazia di Santo Stefano e vi chiama i benedettini cistercensi. A?Santo Stefano sono assegnati, tra l'altro, i casali di Santa Maria de Fajano («casale inceptum», in costruzione), Castro, Pozzofaceto, San Giorgio, Venetico e Sant'Ilario. Per oltre sette secoli Fasano rimarrà legata alle alterne vicende dell'abbazia.
Nel conflitto tra Gregorio IX e Federico II, i monaci di Santo Stefano parteggiano per il papa; l'imperatore, perciò, fa distruggere il monastero e ne confisca i beni (1229). Nel 1261, però, Manfredi ridà agli abati ciò che avevano perduto.
Nel 1314, approfittando di alcuni disordini tra i benedettini, gli Ospitalieri di San Giovanni Gerosolimitano si impossessano di Santo Stefano; una bolla di Giovanni XXII (1317) legittima la loro posizione. I sangiovanniti, divenuti Cavalieri di Malta quando Carlo V concederà loro l'isola nel 1530, terranno l'abbazia e i suoi feudi (compresa Fasano) fino agli albori del secolo scorso. Santo Stefano, prima “commenda”, diviene “baliaggio” nel 1435.
Poche case abitate da campagnoli: ecco Fasano nell'epoca di maggior splendore per la Puglia, quando Federico II, che amava il Sud, terra di sua madre Costanza, concludeva qui un'era e una civiltà. In un documento stipulato per ordine di Manfredi (1260), nella delimitazione dei confini tra Monopoli e Ostuni non si trova traccia di un territorio distinto appartenente a Fasano.
Nella cedula taxationis (1276) voluta da Carlo I d'Angiò, Fasano è computata tra i comuni di Terra di Bari col nome di Santa Maria de Fajano e la qualifica di casale.
Durante la guerra tra Luigi di Ungheria e la regina di Napoli, Giovanna I, settemila mercenari, non potendo ottenere la paga, lasciano il re magiaro e, guidati da un tal Malospirito, cercano avventure e guadagni nella Puglia mediana. Si abbattono su Fasano e Fasanello (un altro casale), li assaltano e saccheggiano: Fasanello, distrutto, scompare per sempre. Corre l'anno 1350.
Nelle lotte tra Urbano VI e l'antipapa Clemente VII, a sostenere quest'ultimo scende in Puglia Giovanni Acuto con i suoi brettoni: Fasano si ritrova con gli oliveti devastati (1378).
Nel 1449 Fasano conta 53 “fuochi” e mezzo: lo si rileva dal censimento delle famiglie (“fuochi”) fatto eseguire da Alfonso d'Aragona per la tassazione.
Anni difficili. I rapporti tra Fasano e Monopoli non sono mai stati troppo cordiali: la tensione, fomentata da pascoli abusivi in territorio monopolitano, da bastonate e, sotto sotto, dal conflitto di giurisdizione tra i responsabili di Santo Stefano e i vescovi di Monopoli, raggiunge il massimo durante l'occupazione di Monopoli da parte dei veneziani. Il 15 dicembre 1528 il rappresentante della Serenissima, Andrea Gritti, decide di farla finita e, con un intelligente colpo di mano, riesce a catturare 270 fra fasanesi, soldati e capitani del presidio spagnolo.
Nel 1529 le armi di Carlo V assediano la veneziana Monopoli: comanda le operazioni il Marchese di Vasto, che ha ai suoi ordini una compagnia di “cappelletti” condotti da Fabrizio Maramaldo. Tra scorrerie degli assedianti e sortite degli assediati, Fasano, che pure ospita un presidio spagnolo, sarà ridotta a fine campagna in condizioni pietose: «In tucto in d. terra – scriveranno i fasanesi a Carlo V – non si trovano cinquanta case non ruinate, al tucto».
Durante l'assedio vengono distrutti alcuni casali, tra cui Castro, Tavernese e Pozzo Faceto: gli abitanti di quest'ultimo, rifugiatisi a Fasano, vi portano il culto della loro protettrice.
Nella seconda metà del Cinquecento, a Fasano, «tutti in generale sonno persone poveri, et i ditti, che tanto campano, quanto vanno ad zappare, cultivare, seminare, et non nce sono persune litterati, ne dottori» (da un verbale dell'epoca).
Anni difficili, quelli del dominio spagnolo. La miseria e le memorabili pestilenze (ricordiamo quelle del 1548 e del 1691) affliggono la povera gente di questa terra. E i turchi minacciano: dall'Oriente vengono i predoni, assetati di sangue cristiano e di oro, a razziare nella marina di Puglia. Verso il 1670 Fasano viene assediata: il sindaco Giuseppe Brandi, uscito per trattare, è fatto prigioniero e portato schiavo. Il 2 giugno 1678 anche Fasano scrive la sua pagina nell'epopea della lotta contro la Mezzaluna. Una lapide illeggibile ricorda ancora la memorabile notte. Trecento turchi assaltano il paese, ma la gente di qui è in grado di reagire. Alle “fogge”, nel luogo detto poi “Orto della Patria”, fasanesi e infedeli si scontrano. Combattono valorosamente i paesani, difendono le loro case, le loro famiglie e la fede dei padri con tutte le forze. E alla fine prevalgono. I turchi prendono la via del mare lasciando sul terreno 21 morti. Per molti e molti anni è rimasto vivo il ricordo di quest'impresa. I padri l'hanno narrata ai figli come un miracolo indicando l'immagine della Madonna: la fede purissima della gente semplice aveva trovato in essa la forza per battersi.
Fasano progredisce: è ormai un centro importante nella seconda metà del Settecento. Conta 7.000 abitanti: dell'antico borgo di contadini non rimane neppure il ricordo.
Frattanto, a Parigi, il popolo prende la Bastiglia: una nuova era è cominciata.
Un linciaggio. 1799: la Repubblica Partenopea raccoglie gli spiriti più illuminati del Mezzogiorno. Fasano è refrattaria alle nuove idee. I francesi e i filofrancesi sono gli ambasciatori del diavolo per la gente alla buona di qui: suppliche in chiesa, monache scomodate per arruolare soldati, minacce di terribili castighi hanno preceduto le notizie della fuga di Ferdinando IV e della proclamazione del nuovo stato di cose. Gli effetti di questo clima si vedranno presto. Il 7 febbraio si deve piantare l'albero della libertà, ma il popolo si solleva, guasta la festa e tenta di dar fuoco alla casa di Ignazio Ciaia (giovane intellettuale fasanese che è fra i maggiori esponenti del governo repubblicano, n.d.r.). Il capo dei legittimisti, don Titta Colucci senior, si adopera con la sua autorità per frenare gli eccessi e fa spegnere l'incendio senza gravi danni. A sera, i campagnoli fedeli alla causa borbonica entrano nella casa di don Francescantonio Notarangelo, leader dei repubblicani, e bruciano «molta robba... nel fuoco che avevano acceso davanti alla medesima». I Notarangelo, come i familiari di Ciaia e gli altri “giacobini”, erano già scappati dal paese. Fasano è un'oasi realista e qui, ospite di don Titta Colucci, si ferma De Cesare dopo il sacco della ribelle Martina.
Il 7 aprile arriva a Bari Broussier con un corpo di 3.000 uomini. I capi realisti lasciano Fasano, vi rientrano i giacobini protetti dai francesi, e riescono finalmente a piantare l'albero della libertà: una quindicina di giorni di repubblica! Partiti i francesi, tornano i realisti, i quali si abbandonano a una feroce reazione: gli ultimi giorni di aprile vedono la loro vendetta.
Un grave fatto di sangue ci dà la misura del clima di quei giorni: il linciaggio di Anna Teresa Stella, una signora di Trani sposata a Fasano con don Lorenzo Goffredi e rimasta vedova, un'ardente sostenitrice delle nuove idee. In un rapporto del 1807 all'intendente di Terra di Bari c'è la cronaca fedele del supplizio. «Cataldo De Santis – vi si legge – rivoluzionario del '99 oltre di essere stato in quell'epoca uno dei principali animatori dei disordini e delle rovine, giunse all'eccesso di far carcerare dai suoi satelliti una infelice sig.ra attaccatissima al Governo Francese, chiamata D. Anna Teresa Stella, e dopo averla posta alla berlina in piazza, la fece fucilare, ma perché sotto vari colpi di fucile non morì, corse egli con un coltellaccio da spietato tiranno su quella sventurata, e con un colpo le divise il capo dal busto; indi, dopo aver trascinato il di lei cadavere per la piazza, lo divise in più pezzi, e lo presentò agli altri Onesti cittadini, che il popolo rivoluzionario aveva carcerato, dicendo: questa è una vostra Compagna, così sarete anche voi ridotti». I miseri resti di Anna Stella furono raccolti e seppelliti nella Chiesa Matrice il 29 aprile 1799.
L'Ottocento. Una data memorabile: 4 gennaio 1810. La Commissione Feudale dichiara abolite per Fasano le decime, i diritti e i privilegi d'altri tempi.
Si annuncia il “Risorgimento”. Fasano ha una “vendita” carbonara: i Figli di Focione, cui aderiscono 200 persone agli ordini del Gran Maestro d. Giuseppe Perrini. Alla Dieta di Bisceglie (5 luglio 1820) Fasano è rappresentata da un prete liberale, don Vito Oronzo Simini.
Quindi, don Sante Conte dà vita alla “Giovane Italia”, mentre parte dei vecchi carbonari fa capo ai “progressisti” del moderato don Vito Nicola Bianchi.
Alla Dieta di Monopoli, dopo la caduta del governo costituzionale del 1848, partecipano per Fasano l'avv. Francesco Bari-Evoli, l'avv. Alberico De Carolis, Luca Conte e Paolo Paternò.
Alla Dieta di Bari rappresenta il paese Vito Nicola Bianchi.
Una banda musicale raccoglie i più accesi patrioti intorno al mazziniano Luca Conte, il più valido assertore delle nuove idee: suonano gli ottoni e si parla di riscossa.
Frattanto, il 21 gennaio 1849, una comitiva di giovani ha lacerato le liste di leva affisse nel porticato sotto la casa comunale: ne viene fuori un processo che, però, finisce in una bolla di sapone anche perché il presunto animatore di quest'atto, un certo Isidoro Schiavone, avendo sentito... puzza di bruciato, si è dato alla macchia.
Nella primavera del 1859 il re Ferdinando II, ritornando ammalato da Lecce, passa da Fasano dove sono ad attenderlo tutti i notabili: la carrozza reale si ferma (nell'odierna via Roma, n.d.r.) per il tempo necessario al cambio dei cavalli, e nessuno riesce a vedere il Borbone. Si sparge la voce fra i buoni paesani che “re Bomba” è stato ammazzato e che lo riportano a Napoli morto.
Dopo l'impresa garibaldina, tra i rinforzi di volontari che si riuniscono ad Altamura per portar soccorso al “Comitato d'insurrezione”, i primi a giungere sono i fasanesi, «uomini risoluti, bravi, animosi e pieni di energia».
A differenza di quanto era accaduto nel 1799, il passaggio dal Regno delle Due Sicilie all'Italia unita avviene senza scosse: il primo cittadino Donato Guarini, in carica dal 22 luglio 1860, vi rimane fino al 7 agosto 1861, quando passa la mano a Damaso Bianchi.
Un sorprendente documento conferma il clima di quei giorni: è la dichiarazione dello «stato neutrale di questo Comune riguardo a festeggiare l'anniversario del Plebiscito» secondo la risposta del sindaco del tempo a una sollecitazione del governatore di Bari.
Questa è la storia di ieri.
C'è da aggiungere che Fasano ha pagato il suo tributo di sangue nelle due grandi guerre, e che, dal 3 luglio 1953 (con Decreto del Presidente della Repubblica) il borghese centro che si adagia ai piedi delle Murge ha il titolo di “Città”.
Gianni Custodero
(testo tratto da Fasano è così,
2ª edizione, Schena, 1995)
di Redazione
28/03/2012 alle 00:00:00
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