FEDE E TRADIZIONE
La focaccia ripiena e il canto all'uovo: due riti pasquali di antica tradizione
Nella Settimana Santa si prepara una pietanza umile e squisita e si intona un motivetto dedicato alla Madonna e alla Passione di Cristo
La Pasqua segna la rinascita dell'uomo, il riscatto del Dio, la vita che va oltre la morte e le apparenze terrene. Tante sono le suggestioni che accompagnano questa festività della religione cristiana e numerosi sono i riti e le usanze rispettate dai fedeli durante la Quaresima. Tra le varie tradizioni poste in essere dai devoti, vi sono sicuramente gli altari di reposizione (i cosiddetti "sepolcri") e le processioni. Non mancano, tuttavia, altre consuetudini folcloristiche radicate nella storia popolare e condivise da più generazioni: ci riferiamo, in particolare, alla preparazione della focaccia con le cipolle e al canto di questua, chiamato anche "canto all'uovo".
La focaccia ripiena di cipolle, o meglio, di "sponzali" (un cipollotto fresco di forma allungata dal sapore dolce che nella forma ricorda il porro), è la pietanza che si prepara per il venerdì santo, giorno di astinenza e di digiuno per la chiesa cattolica in seguito alla morte di Gesù; in realtà, poiché secondo le prescrizioni religiose non si può mangiare la carne, sin dai tempi antichi "à fecazza chiàne" era il piatto più semplice ed umile da offrire, perché realizzato coi prodotti naturali della terra. I vicoli del paese e i panifici iniziano dunque a profumare di soffritto di cipolle, custode di gusto e di unicità.
Il canto di questua rientra nel remoto repertorio dei componimenti liturgici, conosciuto sin da epoca medioevale perché derivante dalle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo che si tenevano per le strade. A Fasano, in particolare, il motivetto maggiormente conosciuto è "U sàbbate sànte": suonatori e cantanti si danno appuntamento alla fine della Messa della Resurrezione e, con fisarmoniche e chitarre, intonano la canzone in giro per la città in cambio di uova fresche (per questo si parla di "canto all'uovo"), che non si possono negare se non si vuole incorrere in dispettosi scherzi; il ritornello dialettale si conclude, infatti, così: "i ce l'ùve nan mi vù dè, u iaddenare t'àggia spascè" (ossia: "e se le uova non mi vuoi dare, il pollaio ti distruggerò").
Ecco qualche video del caratteristico evento:
di Antonella Argento
17/04/2014 alle 10:52:07
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