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Fondi pensione, quali prospettive per il 2019?
Il 2018 è stato un anno agrodolce per la previdenza complementare.
Il 2018 è stato un anno agrodolce per la previdenza complementare. All'aumento del numero degli aderenti corrisponde una sostanziale stabilità dell'offerta di mercato e un calo generale del rendimento annuale, in controtendenza rispetto al 2017, un'annata molto positiva da questo punto di vista. Dal 2019 ci si attende un riscatto, magari anche facendo leva sull'intervento legislativo, che fin qui non ha brillato per spirito di iniziativa.
I numeri spiegano più di mille parole come sono andate le cose nel 2018. L'instabilità globale, unita alla composizione piuttosto inusuale del governo italiano uscito dalle elezioni del 4 marzo, hanno provocato una contrazione dei rendimenti dei fondi pensione, che è andata a peggiorare una tendenza al contrario assai interessante se teniamo conto degli ultimi 10 anni. Per fortuna, comunque, la gestione bilanciata dei patrimoni dei fondi ha consentito di mitigare le perdite, che verosimilmente non peseranno più di tanto, a patto che la fase economica sperimenti una rinnovata vivacità. In termini percentuali, come evidenziano i dati pubblicati da ilSole24ore, la contrazione non è andata oltre il -0,2% dei fondi aperti, che hanno restituito performance peggiori rispetto ai PIP e ai fondi chiusi (-0,1% per entrambi). Nel 2017 proprio i fondi aperti avevano chiuso con un +3,30% medio, contro il +2,60% dei fondi chiusi e il +2,05 dei PIP.
Come detto, il trend decennale rimane positivo. I fondi negoziali registrano un +3,10%, +2,80% per i fondi aperti; i PIP si stabilizzano attorno al +2%. Numeri comunque importanti, che certificano la bontà della gestione dei fondi, anche nei periodi poco fortunati. Per altro, è bene tener presente che i rendimenti vanno sempre valutati sul lungo periodo, è che una piccola contrazione non mina il risultato complessivo. Sembrano ormai da archiviare, invece, le oscillazioni di rendimento che hanno conosciuto i fondi (i PIP sono sempre stati piuttosto stabili) almeno fino al 2015.
Naturalmente, molto dipenderà dall'andamento dello Spread, ma le premesse per un buon 2019 non mancano. Il governo non ha dato grosso peso alla forme di previdenza complementare alternative, che infatti non ha avuto alcuna voce nella manovra, ma è comunque in corso di recepimento la direttiva europea IORP II, che potrebbe rappresentare un passo importante. D'altro canto, le adesioni ai fondi sono in aumento, con un 3,5% circa di iscritti in più rispetto al 2017. Il 2018 si è chiuso infatti con 3,5 milioni di sottoscrittori di un PIP, 3 milioni di iscritti ad un fondo chiuso e 2,8 milioni ai fondi aperti. Cifre che lasciano intendere come gli italiani guardino con sempre più interesse al mondo della previdenza complementare. Parallelamente, sono in crescita anche le masse monetarie gestite. I miliardi in più ammontano ad oltre 7 miliardi, con i fondi chiusi a fare la parte del leone grazie agli oltre 51 miliardi gestiti. Con la ventilata introduzione dei PEPP (Pan European Pension Product), prodotti paneuropei che potrebbero arricchire il paniere dei fondi, l'interesse verso questi strumenti potrebbe subire una ulteriore impennata.
L'auspicio, naturalmente, è che il legislatore accompagni e assecondi questa tendenza, il cui risultato porterebbe benefici all'intera economia italiana, specie tenendo conto che l'investimento in titoli di Stato rappresenta tuttora una delle carte preferite dei gestori di fondi. Come? Una delle proposte più chiacchierate è quella che fa riferimento ai vantaggi fiscali, che attualmente collocano i fondi pensione leggermente al di sotto rispetto ai PAC o ai PIR, ma anche agli stessi PIP. L'obiettivo sarebbe quello di tutelare anche chi ha redditi meno stabili e quindi non sempre può godere dei benefici fiscali riservati agli investitori. Ma chiaramente le opzioni sul tavolo sono molte. Basta solo volerne discutere.
di Redazione
27/03/2019 alle 16:29:21
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