TEMA SCOTTANTE
La mafia raccontata dalla sociologa fasanese Giovanna Montanaro
Ieri pomeriggio (venerdì 28 marzo), a Palazzo di Città, un incontro organizzato da Rotary Club, Inner Wheel, Circolo della Stampa e Presidio di 'Libera' per riflettere sul pentitismo e sulla legalità
FASANO – “La verità è la più terribile delle parole… sì! Abbiamo bisogno di verità, la cerchiamo e la chiediamo! Non si costruisce giustizia senza ricerca della verità!” (Don Luigi Ciotti): proprio di giustizia e di verità si è parlato ieri pomeriggio (venerdì 28 marzo) nella sala di rappresentanza del Palazzo municipale. Quattro sodalizi fasanesi, infatti, ossia il Rotary Club, l'Inner Wheel, il Circolo della Stampa “Secondo Adamo Nardelli” e il locale Presidio di “Libera”, hanno organizzato un momento di riflessione riguardo le stragi di mafia, i pentimenti e la legalità in generale: l'occasione ideale per presentare il libro “La verità del pentito” della sociologa concittadina Giovanna Montanaro.
Ad inaugurare la serata è stato il vicesindaco Gianleo Moncalvo, seguito dai presidenti delle associazioni citate: rispettivamente Angelo Di Summa, Lorenza L'Abbate, Gianfranco Mazzotta e Giuditta Di Leo; presenti anche Gianluca Sirsi, capitano dei Carabinieri della Compagnia di Fasano e Don Carmelo Carparelli. Nell'incontro hanno relazionato l'avvocato Dino Musa e Marco Dinapoli, procuratore capo di Brindisi; il giornalista Donato Mancini, poi, ha intervistato l'autrice.
Giovanna Montanaro ha reso la sua passione e la sua filantropia un vero e proprio impegno civile, trasformando un morboso interesse da studentessa universitaria (la sua tesi di laurea era appunto incentrata sulla mafia) in un'attività costante di ricerca della verità e di professione della legalità. La sociologa fasanese è stata consulente della Commissione stragi e della Commissione parlamentare antimafia e ha scritto un libro fondamentale per la storia della giustizia italiana: “La verità del pentito”, infatti, raccoglie le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, affiliato a Cosa Nostra, killer seriale (fu lui ad uccidere, tra gli altri, Don Pino Puglisi e il giovane Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido) e responsabile di aver rubato la Fiat 126 che il 19 luglio 1992 venne impiegata come autobomba nella strage di via d'Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta; l'uomo, collaboratore di giustizia dal 2008, ha fatto sì che 11 persone innocenti fossero scagionate dall'accusa di criminalità imputatagli ed ha deposto nell'ambito del processo d'appello al senatore Marcello Dell'Utri, condannato perché coinvolto (come in parte Silvio Berlusconi) nei legami fra la mafia e il mondo politico-imprenditoriale.
Giovanna Montanaro, nel suo intervento, ha raccontato che Spatuzza si è avvicinato a Cosa Nostra dopo l'uccisione del fratello: la vendetta, dunque, ha acceso tutti i più bassi istinti di un uomo che ha conosciuto ed ha provocato il male in tutte le sue forme peggiori, adottando (come scrive la stessa sociologa) terribili “strategie terroristico-mafiose”. Nel libro si cerca di capire la personalità del criminale pentitosi (forse dopo una sentita conversione religiosa) decifrando l'interminabile documentazione fatta di dichiarazioni e contraddittori che per anni hanno allontanato i magistrati dalla realtà dei fatti. Spatuzza ha deciso di collaborare con la giustizia in cambio di nessuna garanzia: «chi racconta la verità» ha dichiarato la Montanaro «è costretto ad un destino di solitudine, di perdita della propria identità per motivi di sicurezza, di allontanamento dai familiari e dal proprio clan: anzi, proprio quelli che hanno ammazzato senza remore, iniziano a vivere con la paura quotidiana di essere uccisi».
L'incontro si è concluso con alcune riflessioni davvero significative. «Sebbene la stagione stragista, fortunatamente, sia da tempo conclusa» ha affermato la sociologa fasanese «la mafia continua ad esercitare il governo dei territori e ad addentrarsi nelle istituzioni; a differenza del passato, lo fa in silenzio, perché il clamore degli omicidi aumenterebbe l'allerta nazionale, ma non bisogna mai abbassare la guardia quando si ha a che fare con una criminalità organizzata, radicata e diffusa». «La mafia è un nemico» ha detto il procuratore Dinapoli «rappresenta l'antisocietà ed è un pericolo costante per i cittadini italiani. È necessario affrontarla, sconfiggerla e rifiutare sempre i sistemi illeciti da essa praticati».
di Antonella Argento
29/03/2014 alle 06:27:48
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