STORIA CITTADINA
Mostra artigiana: continua il viaggio tra gli antichi mestieri
La campionaria silvana ha ospitato un particolare museo sulla storia degli artieri fasanesi nel corso dei secoli
FASANO - Questa sera (domenica 25 agosto) si chiuderà la 43esima Mostra dell'Artigianato fasanese che ha ospitato il museo degli antichi mestieri. Un'iniziativa di grande successo che Osservatoriooggi ha voluto anche ripercorrere storicamente con notizie inedite.
U ferräre (il fabbro ferraio) Entriamo con la macchina del tempo, che ci riporta indietro negli anni, nell'antica bottega del maestro fabbro fasanese Paolo Stanisci, coadiuvato dal fratello. Restiamo stupiti nel vedere con quale cura, dopo una giornata di duro lavoro, egli ripone in uno scaffale le tenaglie, il punzone, le preselle, lo stampo, il controstampo, il martello, il calibro, e la mazza. In un angolo troneggia il ceppo, con sopra il piano, e su di esso il tagliolo, e una piccola incudine con due corni, uno tondo e l'altro quadro, di nome bicòrnia. Ci soffermiamo ad osservare delle catene, finemente lavorate, per candelabri. Il maestro ci mostra un rosone meraviglioso, degli alari, e dei cancelli di vario tipo, che sembrano merletti civettuoli e raffinati. È arte pura! La creatività si sposa con la leggiadria delle mani, che hanno saputo forgiare il ferro, brutto anatroccolo, divenuto cigno nella forza-leggerezza di quelle mani magiche. Le mani del passato, che si colorano di futuro, nella consapevolezza del presente. Tra gli altri maestri fabbri sono da annoverare: Francesco Nisi, Achille Trisciuzzi e gli Angelini, i Savoia, i Grassi, ecc.. Achille Trisciuzzi era anche il segretario della libera associazione artigiana di Fasano, e si batté da leone per risolvere i problemi della categoria. Per esempio, esaminò il problema riguardante l'abbinamento alle costruzioni Ina-Casa dei lavori artigiani (infissi, lavorazioni in ferro, pittura, ecc.) appaltati a ditte che sfruttavano l'opera degli artieri, creando tra questi ultimi sleali concorrenze. A nome degli artigiani di Puglia e Lucania, il Trisciuzzi chiese che venisse integralmente applicata la legge sullo scorporo, così come si era fatto altrove. A proposito dei fabbri, esiste un simpatico proverbio, che vale la pena ripescare dal mare del passato: “Sècche de ferräre i fäme de frabbecatóure” (sete di fabbri e fame di muratori), nel senso che i fabbri sudano nel forgiare il ferro sul fuoco, soprattutto in estate, mentre i muratori spendono notevoli energie, che devono reintegrare.
I sarte (le sarte) Nino Ruppi nota che, a Fasano, schiere di casalinghe si dedicavano a lavori di cucito e ricamo a domicilio. Erano sarte eccellenti, camiciaie, maestre di biancheria, le cui raffinate confezioni sembravano provenire da Torino, Roma e Firenze. Erano famose per la loro proverbiale alacrità, tanto - riferisce ancora il Ruppi – che una volta una certa Eufrasia ebbe a dire: “sta uscendo la processione e una devota aspetta la veste che ancora devo tagliare, ma forse ci arrivo.” In questo contesto socio-economico della prima metà e più del secolo scorso nasce, si sviluppa e fiorisce il laboratorio delle sorelle Maria, Lina e Immacolata Botta, sito in via santa Teresa n. 5, che hanno appreso dalla madre l'arte del cucito e del ricamo. Delle tre, Maria ha studiato a Bari, conseguendo il diploma presso la Scuola di sartoria Panaro. Nel laboratorio-scuola producono abiti da sposa, semplici o ricamati, incantevoli nell'unicità che li contraddistingue. I ricami, rigorosamente eseguiti a mano, in filo dorato o a coralli e perline, sono a dir poco suggestivi. Elegantissimi gli originali abiti da cerimonia di colore rosa, nero, blu o a pois. Preziosi i cappelli, elemento indispensabile per completare l'abbigliamento della donna di classe. Sono di fogge diverse, da mattino, da pomeriggio, da sera; in feltro per l'autunno-inverno, in paglia per la primavera-estate, con guarnizioni di fiori o con veletta calata a coprire il viso, segno di maliziosa seduzione. La fama delle sorelle Botta, che ci piace paragonare alle sorelle Materassi, rinomate ricamatrici fiorentine, che danno il titolo al miglior romanzo di Aldo Palazzeschi, si diffonde ovunque. Le numerosissime clienti vengono a Fasano da Bari, Martina, Monopoli, Locorotondo, Taranto, Brindisi, Ostuni. Per soddisfare tutte le richieste il laboratorio si arricchisce di macchine per plissè e per l'orlo a giorno, con cui vengono rifiniti volants, gonne e biancheria da letto, da bagno, da tavola e da cucina. Tra le numerose apprendiste, una rivela attitudini straordinarie: Luisa Guida, che frequenta un corso di “taglio e cucito” addirittura a Milano, dove consegue il diploma nel 1949 col massimo dei voti. Tornata a Fasano, avvia un'attività di alta moda, prima in via santa Teresa e successivamente in via Riccardi n.5. Nel suo laboratorio si contano 15 apprendiste avvicendatesi negli anni. Nelle sue mani le stoffe assumono forme leggere, movimenti armonici, s'intrecciano, si trasformano annodandosi, quasi a voler eternare la bellezza femminile. Luisa, alias Lisetta, qualche decennio fa ha cessato l'attività, ma, poliedrica com'è, si dedica alla realizzazione di abiti e biancheria intima, nonché alla vestizione della Madonna del Rosario, presente nell'omonima chiesa in via Fogazzaro (già via delle ‘donne monache'), e delle altre statue di Maria nelle chiese locali. Le sorelle Botta, Luisa Guida, tutte le altre sarte e i grandi maestri di moda maschile, tra cui Celi e Dell'Anno (ai quali sono state intitolate due strade), Acquaviva, Iacovazzi, Vinci, Schena, ecc.), hanno fatto di Fasano una città elegante, anzi la piccola Firenze del Sud.
I recamatréisce (le ricamatrici) Quando Berta filava, a Fasano già si ricamava. Il settore artigianale femminile, un tempo fiorentissimo, produceva tessuti, arazzi, manufatti realizzati a maglia, a uncinetto, e ricami a filet, in bianco, in filo dorato, a frivolité, e a tombolo. Fino agli anni '40 del secolo scorso, prestigiosa era la scuola serale “Ente pugliese di cultura popolare” (sede distaccata di Bari), diretta da donna Generosa Ruppi, donna estrosa e raffinata. Vi si producevano, rigorosamente a mano, splendidi tappeti, borse in stoffa, e altri manufatti che venivano spediti a Firenze per essere esposti nella “Mostra dell'artigianato fiorentino.” Numerose in loco le ricamatrici. In un'epoca di ristrettezze economiche, seppero elevare il loro spirito, creando, con l'estro di cui erano dotate e con la malìa delle loro mani, autentici capolavori. Seppero imprigionare nel caleidoscopio dei ricami la liricità di sogni e delusioni, speranze e sospiri d'amore, lacrime e sorrisi, arcobaleni ed albe, tramonti infuocati e notti stellate. Furono le loro mani e il loro gusto a ricamare il corredo delle spose locali e non, i vestiti delle effigi religiose presenti nelle chiese del territorio, e ancora abiti e paramenti religiosi. Un discorso a parte merita il filet. Pare abbia avuto origine dalla rete dei pescatori, per cui non sembra poi così assurdo ipotizzare che i fasanesi ne abbiano appreso il “segreto” dagli abitanti di Egnazia. Le artigiane del filet sono innumerevoli e lavorano “nella buona stagione sul balconcino o presso l'uscio dei bassi, per prendere aria o per fruire della pubblica illuminazione. Ad attraversare, anche di sera certi vichi miracolosamente lindi, c'è da restar stupiti e ammirati dinanzi alla fila dei bianchi telai ... fedeli e tiranni, su cui si curvano agucchiando donne patite e granite ragazze ... mentre dalle loro dita delicate escono lavori di fino, forbitissima fattura, pezzi pregevoli a momento come i merletti di Burano e i pizzi di Fiandra che ... prendono la via di Firenze o della Riviera, o compaiono nelle vetrine di Napoli e Milano.” (N. Ruppi) I manufatti a filet più richiesti dai fiorentini erano: copritavoli, copricarrelli, copriletti, tende, centrini per comò e comodini in cordonetto (filo di cotone, lino o seta ritorto), realizzati su rete a maglia stretta con punti elaborati: “traforo”, “a spiga”, “a diavolo”, “a roselline”, “a filo”, “a stella”. Oltre alle ricamatrici c'erano anche le commercianti di filet, una per tutte, l'intraprendente Teresa Cannone (le sorelle Antonietta, Giuseppina e Lucietta ed ella stessa erano ricamatrici e sarte). Si recava a Rimini, a Cervignano del Friuli, a Pola, a Fiume, per consegnare la merce alle ditte ordinatrici. Aveva rapporti d'affari con ditte di Buenos Aires, grazie alla zia Catalina Monopoli in Cannone , emigrata in Argentina. Nell'Istituto del Canonico Latorre, le suore, insuperabili maestre di ricamo, insegnavano alle piccole ospiti, oltre al filet, il tombolo, un ricamo di grande valore che si esegue con dei fuselli di legno. Con l'apertura del Laboratorio Militare (24 gennaio 1944), in cui confluirono moltissime signore e ragazze, con paga giornaliera perfino di £ 50, l'attività manifatturiera poco remunerativa si avviò sul viale del tramonto.
di Palmina Cannone
25/08/2013 alle 08:11:16
Leggi anche:
Attualità
“Il Borgo di Savelletri stregato”: giovedì in piazza Costantinopoli un evento “da brivido”
Taglio su misura + piega gloss a soli € 20
Eligio Parrucchieri ti invita a conoscere i suoi prodotti.
Stazione di servizio Q8 Cacucci
Carburanti e servizi
Efficienza e puntualità nei servizi e prodotti offerti alla clientela