FATTO DI CRONACA
Si presenta il libro 'La figlia del diavolo'
E' la storia, raccontata da Anna Grazia Semeraro ed edita da Schena Editore, di un fatto di cronaca accaduto in Valle d'Itria

FASANO - Dopo cinquantatre anni, un raccapricciante fatto di cronaca nera accaduto in Valle d'Itria diventa un romanzo. “La figlia del diavolo” è, infatti, la storia romanzata scritta da Anna Grazia Semeraro, un'insegnante di Martina Franca al suo esordio letterario; il libro, edito da Schena, verrà presentato questo pomeriggio (sabato 10 novembre) alle ore 18 nella sede della casa editrice, a Fasano, in via dell'Agricoltura, 65 (zona industriale) dal criminologo Gennaro Boggia e dal giornalista Franco Lisi.
La vicenda narrata, all'epoca scosse l'opinione pubblica ed ebbe molto risalto sui giornali. Sulla scogliera di Egnazia , due fasanesi, un vigile urbano e un pescatore dilettante, trovarono un sacco voluminoso ben legato con una fune. Cosa poteva contenere? Derrate? Utensili? In ogni caso era un regalo del mare. I due, mossi dalla curiosità ed eccitati per l'eventuale ritrovamento di una fortuna, aprirono il sacco e si trovarono di fronte alla più shoccante delle sorprese: esso conteneva il cadavere di un uomo, nudo, privo della testa e degli arti, crivellato di colpi di arma da taglio. Un fattaccio macabro e misterioso. I giornali si scatenarono in varie congetture. La verità, o meglio parte della verità, si venne a sapere dopo qualche settimana. Una giovane donna di Martina aveva ucciso il marito ventenne e dopo avergli staccato, con perizia chirurgica, la testa e gli arti dal busto aveva messo i resti umani in due sacchi; l'uno l'aveva buttato a mare (quello ritrovato a Egnazia) e l'altro, contenente anche la testa, l'aveva scaraventato in un pozzo nella stessa zona marina. Perché un tale feroce delitto?
L'autrice del romanzo, con ritmo incalzante, ricostruisce la vicenda della cronaca mentre conduce il lettore nel clima della provincia meridionale fatto di pregiudizi, pettegolezzi, facili condanne morali, offrendo un reale spaccato del sottoproletariato contadino e delle sue miserie. La donna, inesorabilmente bollata come “il mostro di Martina” passò nell'immaginario collettivo come figura diabolica. Aveva tra l'altro il torto di essere molto bella e di piacere agli uomini. Una donna alla quale stava stretto il paese ed evadeva spesso. Grave, gravissimo per quei tempi. Alla pubblica condanna morale seguì la massima pena della giustizia: l'ergastolo. Nessuno all'epoca volle riconoscerle una sia pur piccola attenuante, eppure per anni quella donna era stata oggetto di violenze fisiche e psicologiche da parte di una società retriva ed ostile. Quella donna, dopo trent'anni di reclusione, è stata rimessa in libertà. Vive in modestia e riservatezza, nel Salento.
di Redazione
10/11/2012 alle 10:25:48
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