FASANO - Lui padre di una bambina di appena tre anni, cui la stessa era stata affidata in custodia, lei convivente di quest'ultimo, accusata di avere praticato sulla minore atti sessuali – unitamente al proprio compagno – a sfondo propiziatorio-esoterico.
La Sezione Promiscua Penale della Corte di Appello di Lecce, Presidente Dott. Rodolfo Boselli (a latere la Dott.ssa Fausta Palazzo e il Dott. Maurizio Petrelli), in riforma della sentenza emessa dalla Sezione Penale del Tribunale di Brindisi il 2 maggio 2011, ha assolto i due imputati con la formula <il fatto non sussiste>: a quattro anni dall'inizio dell'inchiesta e a tre anni dall'inizio del processo, i due imputati fasanesi, O.M. e M.P. (ora conviventi), sono stati scagionati dall'accusa di essere stati gli <orchi> che avrebbero seviziato una bambina di appena tre anni, su denuncia della propria mamma poi costituitasi Parte civile.
Il favorevole esito della vicenda giudiziaria restituisce dignità a un uomo e una donna che, in virtù di pregiudizi e di spettacolari processi mediatici, non solo sono stati defraudati della propria moralità, ma persino privati di una opportunità lavorativa. Alla lettura della sentenza emessa nel tardo pomeriggio di oggi dalla Corte di Appello di Lecce, si sono levate grida di gioia da parte degli imputati e di coloro i quali hanno condiviso la sofferenza di un processo che ha preso avvio nel gennaio del 2009 su contestazione del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brindisi Dott. Pierpaolo Montinaro e su denuncia sporta dalla madre della piccola nonché congiunta di uno degli odierni imputati. Una storia processuale, quella conclusasi favorevolmente con la sentenza scritta oggi dalla Corte d'Appello di Lecce che, passando per una condanna in primo grado, oggi trova naturale conclusione ad opera dei Giudici di secondo grado.
“Non erano colpevoli, questa è vera Giustizia”, ha commentato telefonicamente il Difensore dei due imputati il penalista mesagnese Avv. Giovanni Luca Aresta. Una tesi difensiva che, prendendo spunto da precedenti casi accaduti a varie latitudini, ha evidentemente convinto i Magistrati della Corte leccese a mandare assolti gli imputati poiché secondo le risultanze emerse dal processo, considerato che un giudizio di colpevolezza deve essere pronunciato “…oltre ogni ragionevole dubbio” e in questo caso i dubbi erano addirittura preponderanti, l'unico elemento di prova, la testimonianza della bambina, è stato raccolto secondo modalità assolutamente falsanti: dunque, una fonte di errore.
Nel corso del dibattimento di appello, l'Avv. Aresta – in questo autorevolmente sorretto anche dalla requisitoria del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Lecce Dott. Antonio Maruccia – ha dimostrato come “…chi interagisce con il minore avendo nella mente, a causa di una comunicazione ambigua e passibile di più interpretazioni, la terribile paura che questo possa essere stato oggetto di molestie sessuali, può facilmente credere di essere solo il depositario del racconto del bambino, mentre in realtà può partecipare inconsapevolmente alla costruzione del cosiddetto fattoide, ovvero una realtà costruita dal linguaggio, una realtà che ha l'apparenza del fatto senza però esserlo”.