EMERGENZA CORONAVIRUS
Oronzo, Rosachiara, Beatrice e Laura: la storia di chi ha deciso di non tornare in Puglia
Il racconto di alcuni fasanesi che, per vari motivi, hanno deciso di non tornare nella propria città dai propri familiari

FASANO - Grande clamore hanno suscitato le più di ventitremila persone rientrate in Puglia dal nord e centro Italia a seguito dell'Emergenza Coronavirus. Molti li hanno insultati, qualcuno li ha protetti ma i più hanno dimenticato di guardare l'altra faccia della medaglia: le tante persone, giovani e adulti, rimasti “su” con tanto sacrificio.
Dei ventitremila rimpatriati è necessaria, però, una dovuta analisi. Alcuni di loro, tra cui molti studenti universitari, erano già in Puglia per godersi una piccola pausa dopo il termine della sessione di esami e l'inizio dei corsi del secondo semestre; altri, invece, hanno fatto ritorno non appena gli atenei sono stati chiusi in forma del tutto preventiva, nonostante non si fossero registrati casi di infezione da Covid-19. Sicuramente, la maggior parte vi ha fatto ritorno poco prima, o immediatamente dopo, il blocco emanato dal Consiglio dei Ministri del 5 marzo 2020.
Tanti sono stati, quindi, i pugliesi rientrati nelle proprie abitazioni, ma altrettanti sono stati quelli che hanno deciso di rimanere nella propria città di studio e lavoro, nonostante le limitazioni. Tra questi non mancano numerosi fasanesi, alcuni dei quali la redazione di OsservatorioOggi.it ha ritenuto opportuno ascoltare. Questi sono amici, parenti, ex colleghi, nipoti, figli, fidanzati; sono Oronzo, Rosachiara, Beatrice e Laura.
«Torno almeno ogni mese a Fasano – ha raccontato Oronzo Rubino – ma questa volta, pur avendo i biglietti acquistati da diverso tempo, ho scelto di restare a Roma per diversi motivi. Primo fra tutti: il terrore di essere un possibile portatore del virus nella mia terra. Mi hanno molto colpito le parole e le azioni protettive del presidente Michele Emiliano nei confronti di tutti i pugliesi. Usando molto il trasporto pubblico romano, ho vissuto con il timore di essere stato contagiato fino a quando l'azienda per la quale lavoro ci ha concesso lo smart working. Le mie giornate le passo in conference call con i colleghi, dato che le attività di ingegneria e servizi che gestiamo non si sono del tutto fermate. Adesso, a parte la mancanza della Puglia, c'è più tranquillità per potersi leggere un buon libro, sperimentare qualche ricetta, studiare qualche nuova materia e, grazie al web, recuperare la passione per la radio con Radio Diaconia».
«La decisione di rimanere a Pavia non è stata semplice – ha, invece, affermato la studente Rosachiara Monopoli - in circostanze come queste il richiamo della famiglia, degli amici, la nostalgia delle abitudini di casa si avvertono prepotentemente. In più, si sommano la paura di rimanere bloccati su per molto tempo, l'angoscia di ammalarsi e la tristezza di vedere le città del nord perdere il loro volto di sempre. Per questo non mi sento di giudicare chi ha preso il treno durante la notte dell'emissione del decreto. Tuttavia, alla fine ho ritenuto che fosse meglio restare dove ormai si svolge la mia vita quotidiana, cercando di non rinunciare fin quando possibile alla normalità che mi sono costruita qui e continuando a studiare. Soprattutto, era forte il senso di responsabilità verso i miei genitori, mia nonna, i miei cari in generale, che non avrei sopportato di contagiare in caso fossi stata a mia volta infetta o asintomatica. Si aggiunge anche la riconoscenza nei confronti di una città e un'università che mi hanno accolta lo scorso anno e che attualmente vedo stremate. Cerco di rispettare una routine molto precisa che mi aiuti ad affrontare razionalmente la situazione e a non cadere nella monotonia, dopo ormai quattro settimane di semi isolamento. Quindi mi alzo presto al mattino, cerco di tenere ordinato il mio ambiente e studio, seguo le lezioni in remoto o svolgo il mio part time universitario per almeno quattro ore al giorno. Cerco di sfruttare questa occasione per obbligarmi a fare un po' di sport, essendo fortunata ad avere una palestra interna chiusa al pubblico nel Collegio in cui vivo. Oltre a ciò sto riscoprendo la gioia dei libri, dei film e delle videochiamate con amiche e famiglia».
«Perché ho deciso di restare qui? Perché è quello che a noi cittadini veniva chiesto! – è la ferma risposta della studente Beatrice Lapertosa - La fragilità delle persone è incomprensibile e potenzialmente dannosa. Il susseguirsi dei decreti ha fatto crollare migliaia di persone e l'allarmismo si è tramutato in panico e angoscia per un nemico imprevedibile e contagioso. Sono restata a casa mia a Torino per evitare problemi, sapendo della presenza di anziani e persone immunodepresse nel nucleo familiare. Non ho manifestato sintomi, sto e stavo bene ma ho deciso di sacrificare un po' della mia libertà per evitare di dare adito a stolti e per evitare anche solo potenziali problemi. Certo, le mie abitudini sono molto cambiate; mi sono ritrovata dall'idea che questo virus fosse qualcosa di transitorio alla quarantena, alla zona rossa e all'Italia chiusa. L'università, dopo le prime mail di “rinvio inizio lezioni”, si è attrezzata per la tele didattica e i professori hanno cominciato e continuano a caricare materiali e argomenti in formato digitale. Le giornate hanno comunque la loro dose giornaliera di caffeina, appunti e libri di testo: nota positiva è il mangiare con calma, senza avere fretta di ingurgitare un panino tra un'ora di lezione e l'altra. E poi ci sono le videochiamate con gli affetti, mamma che si sta dilettando in cucina e mi manda foto delle sue pietanze, le lauree di amici tramite mail, i compleanni 2.0 dove nessuno è a tempo nel cantare “tanti auguri”, ma siamo tutti lì anche se in paesi diversi, maratone di serie tv e libri da leggere. In casa ci siamo dotati anche di puzzle da 1000 pezzi per il tempo libero».
«Ho deciso di rimanere a Milano, perché mi sembrava doveroso tutelare i miei amici ma soprattutto la mia famiglia, che è quella con cui sarei stata più a diretto contatto – ha riferito Laura Legrottaglie - Anche il solo fatto di essere stata nella metro affollata sanciva un'alta probabilità di contrazione del virus; fortunatamente non ho mai avuto sintomi, quindi sono tranquilla ed ora, come ci è stato intimato, resto a casa! Avrei preferito passare questo tempo “libero” con la mia famiglia, che non vedo quasi mai, poteva essere una scusa per tornare a casa, a chi non piacerebbe?! Però tutti questi pensieri non mi hanno fatto cambiare idea; sto usando questo tempo per leggere libri, studiare e vedere serie tv e film, che prima non avevo tempo di vedere».
Queste sono le storie di una piccola parte di donne e uomini che, controcorrente, hanno deciso di non tornare a casa dalle proprie famiglie, di fare un grosso carico di coraggio e affrontare, come tutti, l'Emergenza Sanitaria in atto. È necessario, però, non commettere il gravissimo errore di puntare il dito contro chi, probabilmente sbagliando, ha fatto la scelta di ricongiungersi ai propri affetti tornando nella propria città natale.
di Mattia Arconzo
27/03/2020 alle 05:18:56
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