INTERVISTA ESCLUSIVA
Giuseppe De Bellis: da cronista locale alla direzione di Sky Sport 24
I gemelli Giuseppe e Vincenzo De Bellis sono due fratelli pugliesi, con madre fasanese, che attualmente ricoprono prestigiosi incarichi professionali in Italia e in America

Fasano - Di primo acchito, è difficile distinguere i gemelli Giuseppe e Vincenzo De Bellis. Persino gli amici tendono inconsapevolmente a confonderli e spesso si stupiscono per un mancato saluto da parte di uno dei due. È successo anche al campione Alex Del Piero che, per le strade di Los Angeles, credeva di aver incontrato Giuseppe, attuale condirettore vicario di Sky Sport. E invece si trattava di Vincenzo, di casa negli Stati Uniti, dove ricopre l'incarico di curatore Curator and Associate Director, al Walker Art Center, centro multidisciplinare di arte contemporanea a Minneapolis.
I fratelli De Bellis, classe 1977, sono di Castellana Grotte, ma in loro scorre del sangue fasanese per parte di madre, la signora Gloria Del Vecchio. Fasano è anche la patria delle loro vacanze: liberi dagli impegni professionali, soprattutto in estate, con le loro famiglie si rifugiano in un trullo sulle colline di Laureto, meta ideale per chi vuole godersi del meritato relax.
Proprio in un caldo pomeriggio di inizio agosto hanno concesso un'intervista a «Osservatorio», ripercorrendo le loro rispettive carriere fino ai prestigiosi incarichi che ricoprono attualmente. Tra ricordi e racconti, ha fatto capolino anche un progetto ancora in fieri: la creazione di un format che unisca sport e arte, ovvero che metta insieme le specificità di entrambi in un programma tv.
Questa l'intervista realizzata da Zino Mastro a Giuseppe De Bellis.
Come nasce la carriera di un giornalista che, da corrispondente di paese, ora è condirettore vicario di Sky Sport con delega a Sky Sport 24 e al sito di Sky Sport?
«Da un colpo di fortuna, ma anche da un grande desiderio e una forte passione. Giovanissimo, studente liceale a Conversano, lavoravo in un giornale di Castellana, “L'informatore”. Un giorno in paese ci fu uno sciopero di ambulanti per lo spostamento del mercato. In quell'occasione, Nicola De Bellis, corrispondente della “Gazzetta del Mezzogiorno” di Castellana e zio di mio padre, era in vacanza e io da cronista alle prime armi trovai il coraggio di alzare il telefono per segnalare alla testata che era in atto la protesta. E così, ritenendo la notizia interessante, mi chiesero un pezzo quanto prima possibile. Dopo aver raccolto tutte le informazioni, tornai a casa a scrivere l'articolo che, il giorno seguente, fu pubblicato nelle pagine della cronaca di Bari, senza firma. Questo è stato il modo con cui mi sono presentato alla “Gazzetta del Mezzogiorno”. Da lì è cominciato il mio percorso: dal ruolo di vice corrispondente in prova a un “abusivato” alla cronaca di Bari. La mia passione per lo sport era grande, per cui, nel frattempo, ho cominciato a scrivere anche di questo: sono nate così delle collaborazioni con altri giornali, “Il Tempo” in particolare, come corrispondente dalla Puglia. Dunque, quella “botta” di fortuna ha generato dei contatti che mi hanno consentito di cominciare la carriera da giornalista. Da “abusivo” nel '99 ho avuto il mio primo contratto “a termine”, in estate, alla “Gazzetta”. Per lo sport, intanto, avevo cominciato una collaborazione con “Telenorba” e allacciato rapporti con giornali che non avevano corrispondenti nella nostra regione».
Presto ti sei occupato anche di politica…
«No! Ho cominciato con lo sport e con la cronaca. Durante l'estate del '99, quando ero un sostituto alla “Gazzetta”, mi iscrissi alle selezioni per la Scuola di Giornalismo di Perugia. Superai tutti i test, classificandomi al 25° posto. Fui spinto a continuare dai miei superiori della “Gazzetta”, in particolare dal capo cronista Gianfranco Summo, oggi capo dell'Economia. Io non ero molto convinto. Facevo il giornalista, studiavo, mi era sempre stato detto che questa professione s'impara sul campo. Perché andare a fare una scuola che costava tanti soldi, che mi allontanava da quello che facevo, che non mi consentiva più di lavorare? Anche la spinta dei miei genitori mi ha invogliato a continuare. Con il 25° posto ero il primo degli esclusi all'ammissione, perché ne prendevano solo 24. Ero delusissimo! All'improvviso ricevetti una telefonata con cui mi veniva comunicata la rinuncia di tre candidati, entrati nella Scuola di Urbino: e così si aprivano per me le porte della Scuola di Giornalismo di Perugia che, di seguito, tramite uno stage, mi ha portato al “Giornale”, di stampo prettamente politico».
Perché alcuni tuoi articoli sul “Foglio” e alcune pubblicazioni, fra le quali le biografie di Barack Obama e Hillary Clinton, sono apparsi con lo pseudonimo Beppe di Corrado?
«Prima è stata una necessità, poi è diventata una scelta. Quando ero al “Giornale” e scrivevo per tante altre redazioni, cominciai una collaborazione col “Foglio”, che in quel periodo non riportava la firma in alcun articolo: come tutti, scrivevo senza firmare. Successivamente, venni assunto a tempo determinato al “Giornale”. Nel momento in cui Maurizio Belpietro mi offrì questo contratto, gli comunicai che avevo già una collaborazione con il “Foglio”. Lui mi disse che avrei potuto continuare poiché non compariva la mia firma. Ciò, però, mi costò la perdita dei diritti di esclusiva previsti dal contratto nazionale. Quando poi il “Foglio” decise di cominciare a firmare gli articoli nelle edizioni del sabato, si affacciò il problema: all'inizio, unico dei collaboratori, ottenni la deroga di continuare a non firmare i miei articoli. Poi la firma divenne un obbligo: non potendo usare il mio nome, perché Belpietro me lo aveva vietato, scelsi lo pseudonimo che in realtà era un patronimico: Beppe (figlio) di Corrado, perché la passione per lo sport nasceva proprio all'interno della famiglia».
Come sei arrivato a Sky?
«Ho fatto un bellissimo percorso al “Giornale”: in quindici anni, da stagista nel 2002 sono uscito condirettore nel 2017. Lo sport non è mai stato la mia prima attività al “Giornale”, ma ho sempre scritto di argomenti sportivi. La mia prima esperienza televisiva è stata come opinionista per effetto delle cose che scrivevo su questo quotidiano. Il primo contatto con Sky è nato da ospite. Da autore avevo fatto una stagione del programma “Sfide” per la Rai; di seguito, Sky mi ha proposto un contratto di consulenza come autore di alcune trasmissioni e come ospite fisso, anche perché nel frattempo avevo fondato “Undici”, un trimestrale di cultura dello sport. Il mio approccio allo sport era per loro interessante; le frequentazioni si facevano più assidue e le ospitate riscuotevano un certo apprezzamento. Nel 2017, però, ho cambiato giornale iniziando a lavorare nel gruppo Condé Nast (casa editrice statunitense, per la quale ha diretto il magazine “GQ”, ndr). Mi venne anche fatta una proposta per diventare vicedirettore vicario di un quotidiano non milanese ma, in una chiacchierata con Sky, mi fu chiaro che questo ente televisivo aveva un futuro interesse nell'integrarmi. La cosa, però, non ha avuto effetto immediato. Solo qualche tempo dopo mi è stato proposto di entrare in Sky: ci sono entrato di fatto a fine anno scorso, effettivamente a inizio del 2018».
Come ci si sente a dirigere il più importante Tg sportivo d'Italia?
«Bene! (sorride…) Quello che dicono spesso i direttori è che la prima cosa che sentono è la responsabilità. Invece, la prima cosa che sento io è il piacere. Un po' perché chi oggettivamente è appassionato di sport sa che è importante, ma né si vive né si muore per lo sport. Dirigere un telegiornale sportivo presuppone una forte responsabilità, perché ci sono molti interessi economici. Il mio editore è il principale finanziatore del calcio. La prima cosa che si vive da direttore è il piacere di occuparsi di una cosa molto popolare, molto bella e fatta nel posto migliore del mondo».
Nel dare alcune notizie si avverte la pressione delle grandi squadre? Trasmettere notizie che potrebbero dar fastidio a Juventus e Milan, per esempio, vi crea problemi?
«No! Sia che si tratti di squadre grandi o piccole è l'attenzione che cambia, non la portata del problema. La telefonata “infastidita” la fanno tutti, ovviamente è la quantità di appassionati a quella squadra che cambia la rilevanza. Noi abbiamo due milioni di persone che ci guardano, perché ci scelgono, perché pagano un abbonamento: non c'è una particolare pressione, ma si vede, ci occupiamo prevalentemente delle squadre che hanno più pubblico. È quindi probabile che ci imbattiamo in una notizia che fa piacere per una parte degli spettatori e dispiacere per l'altra parte».
Com'è cambiata, nell'ultimo mese, l'informazione su Sky Sport con l'arrivo in Italia di Cristiano Ronaldo?
«I giorni caldissimi della trattativa, quelli in cui abbiamo capito che sarebbe arrivato ma non aveva ancora firmato, sono stati elettrizzanti. Quelli della conclusione della trattativa sono stati la realizzazione che si stava verificando l'incredibile e quelli dell'arrivo sono stati dei giorni particolarmente complessi nella gestione. Questo è il classico esempio in cui tu sai perfettamente che ti stai occupando di una cosa che riguarda una sola squadra, ma il modo in cui lo racconti e la rilevanza che ne dai è legata al fatto che Cristiano Ronaldo non rappresenterà soltanto la Juventus per il calcio italiano, ma anche una conferma della rinascita dello stesso. In più, sapevamo che sarebbero stati giorni di grandissima audience: infatti, abbiamo avuto dei record importanti di ascolto». In questi mesi, hai mai dovuto affrontare momenti difficili? «Il giorno più difficile, cinicamente bello ma molto triste, di questi sette mesi della mia direzione è stato il giorno della morte del giovane calciatore Davide Astori. Un telegiornale che fa sport 24 ore su 24 si è dovuto occupare di un fatto di cronaca, anche se collegato al calcio. Siamo stati monotematici, perché era impossibile parlare di qualunque altra cosa, e qui sì con una pressione enorme perché si trattava di una questione alla quale una redazione sportiva non è abituata. E quella è stata una prova di grande responsabilità, di capacità da parte della redazione di avere la consapevolezza che si stava parlando di una faccenda delicata, ma nel contempo di una grande notizia. Noi non siamo orgogliosi del fatto che sia stato il giorno più visto della storia di Sky Sport 24, però c'è anche un sottile “piacere” derivante dal fatto che il pubblico ci abbia gratificato proprio perché siamo riusciti a farlo nel modo giusto».
Da tifoso del Bari, che ne pensi della fine ingloriosa fatta da questa squadra, al punto che l'anno prossimo giocherà in serie D, addirittura forse nel girone del Fasano?
«Rivolta a un tifoso, questa domanda ha una difficile risposta. Purtroppo, l'evoluzione dei proprietari della squadra di calcio è lenta. Più ci si allontana dal centro del potere, più è facile ritrovare una vecchia modalità di “avventurieri”: presidenti che si illudono di poter lucrare dal calcio senza costruire un progetto, solo con l'idea di speculare sul breve. È quello che è accaduto al Bari. Una società che in dieci anni ha affrontato le due più belle stagioni della vita, la cavalcata verso la serie A, la stagione del record dei punti e poi il tracollo. Questo, in realtà, è cominciato nel momento in cui Bari è diventata il centro della vergognosa stagione del calcio scommesse, retrocedendo ed evitando il fallimento solo grazie a un'azione di grande condivisione popolare. Chi ha salvato quella squadra, però, ha commesso un errore di arroganza imprenditoriale, puntando tutto sulla serie A. Il calcio non è più così, non basta essere una grande piazza. Qualcuno si è illuso che, essendo Bari il sesto bacino di utenza per numero di tifosi, si potesse arrivare in Coppa Uefa. Invece, si sarebbe dovuto pensare prima di tutto a conquistare stabilmente il diciassettesimo posto: quello della salvezza. La recente storia del Bari, oltre a essere una pessima storia di imprenditoria, è anche una spiacevolissima storia che sfiora i contorni del penale».
di Redazione
29/09/2018 alle 17:14:18
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