APPELLO ACCORATO
Rischio chiusura per la casa di riposo 'Rossini' a Fasano: l'appello di un operatore
Uno dei lavoratori che rischia il licenziamento ha scritto una lettera aperta alla stampa per chiedere sostegno e aiuto
FASANO- Un tentativo disperato di risolvere la situazione entro il 25 novembre. Il "Canonico Rossini” di Fasano rischia la chiusura con il trasferimento degli anziani ospiti e il licenziamento dei nove operatori dipendenti. E proprio uno di questi ha scritto una lettera aperta alla stampa chiedendo aiuto, un intervento che possa essere risolutivo. «Lavoro presso la casa di riposo "AspRossini" di Fasano, che sta vivendo una situazione paradossale - scrive in premessa -. Siamo stati sfrattati dai locali dell'ospedale di Fasano a causa dell'inagibilità della struttura. il 25 novembre nove operatori saranno licenziati e 21 anziani avranno perso la loro "casa". Stiamo vivendo un dramma sia da un punto di vista lavorativo che umano. Quello che però mi preme sottolineare è che il "Rossini" ha una struttura nuova e funzionante nella quale non possiamo trasferirci per via di un contenzioso tra l'Asp e il costruttore che ha realizzato la nuova casa. Non voglio entrare nel merito di questioni politiche, giuridiche ed economiche che riguardano la Regione Puglia, il Comune di Fasano, l'Asp "Rossini" e la società costruttrice, ma è assurdo che ci siano tutte le condizioni per salvaguardare il nostro lavoro e la salute degli anziani che serviamo e tutto finisca in un immobilismo inspiegabile. Chiediamo che ci sia buon senso e che tutte le questioni burocratiche vengano demandate agli ordini competenti. Vogliamo essere trasferiti nella nuova struttura perché crediamo che il diritto alla vita, al lavoro e alla salute vengano prima di tutto. Il silenzio e l'indifferenza su questa vicenda ci indignano. Ho scritto una lettera aperta che è il mio sfogo e un invito a fare quello che è semplicemente la cosa giusta».
Di seguito la lettera aperta: «Sono un operatore del “Canonico Rossini”. Lavoro presso questa casa di riposo dal 2009. Ricordo ancora oggi il primo giorno di lavoro. Quando ho varcato la porta dell'ala dell'Ospedale di Fasano dove risiedono i “vecchietti” son rimasto sbigottito, spaventato. Un corridoio lungo. Tavoli apparecchiati, vecchietti seduti vicino a quei tavoli fissavano il vuoto. Poca luce filtrava dalle finestre che danno sul chiostro. Sbarre a quelle finestre. Una profonda tristezza mi ha assalito. Sarò sincero. Sono stato egoista. Non pensavo a loro. Pensavo a me. Avrei lavorato in quel luogo e avevo paura. Era un carcere. Mi dicevo: “come possono vivere qui?” Avevo paura perché sentivo il richiamo della morte e l'urlo silenzioso di chi voleva ancora vivere. Prima di allora, avevo lavorato sempre con i bambini. Con loro solo gioia, confusione, spensieratezza. Non ero abituato all'angoscia e alla paura della morte. Adesso mi ritrovavo a vivere ogni giorno momenti che mi ricordavano i lutti familiari, gli ultimi tristi giorni dei miei cari sofferenti sul letto di morte. Come avrei potuto sopravvivere a tanta tristezza! Dovevo farmi forza. Quel lavoro non l'avevo scelto. Lui aveva scelto me. Ero in un momento di disperazione. Io e mia moglie avevamo da poco avuto un bambino e dovevamo sopravvivere. Non avevamo niente. MI avevano offerto di lavorare in quella casa di riposo. Nessun uomo ci aveva mai lavorato. Era un lavoro per donne. Robe da lavare e stirare. Donne e uomini da lavare. Pannolini sporchi da cambiare. Con i bambini è facile. E' una gioia. Avete mai provato a cambiare il pannolino a una persona che non vi conosce e che ha pudore? C'erano signore che non erano mai state viste nude da un uomo. Figurarsi se quest'uomo doveva avere accesso alla loro intimità. Io stesso mi vergognavo di alcune operazioni che dovevo fare. Provate a fare igiene intima ad una sconosciuta. Ancor di più ad uno sconosciuto. Vincere pregiudizi, imbarazzi. Siete mai stati al capezzale di una persona che non conoscevate? Io un estraneo, al fianco di chi stava per morire e al suo fianco aveva me. Uno sconosciuto. Cosa potevo sapere io di ciò che avevano sognato quegli esseri che erano stati forti, avevano vissuto, combattuto battaglie di vita quotidiana. Lavoro, figli, nipoti e poi me. Uno sconosciuto. Era me che volevano negli ultimi istanti della loro vita? Eppure io ero lì e dovevo stargli vicino. Che responsabilità. Che onore! C'è voluto tempo ma soprattutto una grandissima forza interiore. Dio solo sa quanto coraggio mi ci è voluto. Nei momenti più difficili pensavo a mia moglie e mio figlio e trovavo forze che non credevo di avere. Il pensiero della famiglia, il bisogno di sopravvivere e il grande sostegno di tutte le colleghe che hanno saputo aspettare che io imparassi quel mestiere così difficile e così importante per le persone che servivamo. Tutto questo, dicevo, mi ha portato ad andare al di là dei miei limiti. E lì un mondo nuovo mi si è aperto. Dopo mesi quegli estranei sono diventati familiari. Ho cominciato a conoscere le loro abitudini a prevedere le loro richieste: il bicchiere più grande, il cuscino sulla sedia, la forchetta con i denti più larghi, l'acqua con meno sapone… Non eravamo più estranei. La paura di andare a lavoro si è trasformata quasi in gioia di andare a passare del tempo con un amico. Con qualcuno che aveva bisogno di me e che senza di me non poteva fare tante cose. Mangiare, lavarsi, vestirsi, ma anche chiacchierare, sfogarsi della propria solitudine o dei propri acciacchi. E perché no, ridere. I ricordi più belli sono i momenti di gioco, in cui si scherzava giocando sui difetti di memoria, sulle fissazioni. Vi giuro che oggi, dopo sei anni quel posto non mi fa più paura. Non mi fa paura la morte. Ho imparato ad apprezzare di più la vita. Ho dato più valore al tempo che passa e alla caducità dell'esistenza. Ogni mattina, prima di andare a lavoro saluto mia moglie e mio figlio come se potessi non rivederli più al mio ritorno, come se potessi io stesso non tornare. Ho accompagnato tante persone verso l'infinito a noi sconosciuto. Ho accarezzato i loro visi e le loro mani quando erano già freddi. Li ho anche presi in braccio. Io sono la loro memoria. Porto con me i loro racconti. Pezzi di vita che non importavano più a nessuno. I loro amori, i loro sogni, il loro umorismo e il loro dolore e la loro solitudine. Piero, Nicola, Ciccio, Antonio, Amedeo, Peppino, Vito, Crescenza, Anna, Angelina, Antonietta e tanti altri. Non ci sono più ma noi del “Canonico Rossini” siamo stati la loro casa, la loro famiglia. Oggi la nostra casa sta chiudendo e sta sfrattando oltre i vivi anche i morti. La memoria della propria storia rende gli uomini migliori. Il “Rossini” nasceva per i “vecchietti” di Fasano tanti e tanti anni fa. Nasceva per i più poveri e i più soli. Tanta gente ha donato i propri averi perché i più bisognosi potessero usufruirne. Non facciamo che questi sacrifici siano stati inutili. Non offendiamo i morti che hanno dato tutto ciò che avevano per arricchire la comunità per poi vedere dilapidato il loro patrimonio in un bene, la nuova casa, che potrebbe non vedere mai la luce. Non dimentichiamo. Realizziamo tutti insieme il sogno dei nostri padri e nonni di non abbandonare i più deboli e i più bisognosi. Il bene non può non trionfare. Il mio appello è rivolto soprattutto a tutti i politici locali. I leaders dei movimenti che in periodi elettorali si fanno promotori di programmi più o meno convincenti in nome del bene della nostra città. Quelli che fanno asfaltare le strade prima delle elezioni per far vedere che qualcosa si è fatto. Quelli che si vantano di qualsiasi cosa pur di conquistare la fiducia della gente. Vorrei vedere un nuovo modo di fare politica. Risolviamo i problemi tutti insieme e non perché ci debba essere un tornaconto personale. Pensiamo al bene della città. Vi invito a sbloccare questa situazione assurda. Facciamolo tutti insieme. Seduti allo stesso tavolo. Dimenticate screzi, ideologie, gelosie. Facciamo che sia un successo di tutti. Di tutta la città. E' un'occasione per dimostrare che si può essere grandi e si può remare tutti nella stessa direzione. Quella del bene. Accogliete la mia richiesta a creare un fronte comune anche presso le Istituzioni. Richiesta che è quella di tutti gli operatori del “Rossini”, degli utenti e dei familiari. Non restiamo fermi. Vi prego».
di Redazione
10/11/2015 alle 11:46:40
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