DA OSSERVATORIO - MAGGIO 1987
In ricordo di don Cosimo De Carolis: le lettere dei suoi fedeli e di chi lo ha conosciuto
L'11 maggio 1987 moriva improvvisamente don Cosimo De Carolis: nel 25° anniversario riproponiamo articoli e lettere scritte in quell'occasione e pubblicate su Osservatorio
Don Cosimo con i suoi ragazzi
FASANO – Venticinque anni fa moriva improvvisamente don Cosimo De Carolis, uno dei sacerdoti più amati dalla comunità fasanese. In questo particolare anniversario Osservatoriooggi.it, in questa sezione dedicata al passato e all'edizione cartacea, vuole ricordarlo proprio con le testimonianze (articoli, lettere e documenti) prodotte in quell'11 maggio 1987, giorno della morte di don Cosimo. A futura memoria e in segno di riconoscimento per un mai dimenticato uomo di chiesa.
Alfonso Spagnulo
A don Cosimo (Le maestre dell'Aimc)
Eri guida sicura e illuminata per la nostra associazione, compagno di viaggio per ciascuno di noi. Quando nel 1971 fosti nominato nostro assistente dopo una breve esperienza presso l'A.I.M.C. di Monopoli, aderisti «come ricordo e consegna spirituale di un amico sacerdote, don Arnaldo Lacitignola, già assistente dell'associazione» (sono parole tue). Nonostante le obiettive difficoltà che le incombenze ordinarie di un parroco presentano, accettasti l'incarico perché credevi nella validità dell'Associazione. Erano quelli i primi tempi del tuo sacerdozio e in questi anni, camminando insieme, vivendo insieme momenti associativi, siamo cresciuti nella vita della Fede. Abbiamo avvertito ogni giorno di più la pienezza del tuo impegno sacerdotale, vissuto in silenzio e con fermezza; abbiamo sentito che la tua cultura, la tua ricchezza interiore, la tua disponibilità, la tua pazienza, costituivano un punto certo a cui ciascuno poteva far riferimento quando te vicissitudini della vita privata, professionale, spirituale, ne turbavano l'esistenza. Nell'ormai abituale incontro annuale di settembre tu suggerivi a noi insegnanti soltanto alcune riflessioni, ma che bastavano da sole a programmare il lavoro di un intero anno scolastico. E cosi nelle riunioni di consiglio o nelle assemblee associative, dopo aver ascoltato attentamente, bastava che tu prendessi la parola che con pochi, incisi vi, pregevoli tocchi, riuscivi a scopri e a proporci elementi positivi, validi a chiarire ogni situazione problematica. La tua silenziosa operosità era inesauribile: tua è stata l'ultima iniziativa realizzata nell'A.I.M.C.; i tre incontri svoltisi nel salone della scuola elementare, I circolo, sull'insegnamento della Religione. Hai presenziato i primi due (19 marzo e 5 maggio) al terzo, (8 maggio) eri già assente. Tutti noi abbiamo sperato nel miracolo della tua guarigione. Abbiamo sperato contro ogni speranza, ma il miracolo, quello che chiedevamo, non c'è stato. Noi non possiamo conoscere i fini del Signore. Sono un mistero. Scopriamo fra i tanti tuoi messaggi che ci hai donato nel corso di questi anni, un tuo pensiero proprio sul mistero: « ... in tale mistero - tu scrivi - anche i nostri dolori diventano tappe della nostra maturazione umana e cristiana, e la vita, che sarà sempre faticoso esodo ... sarà sempre confortata dalla speranza della Pasqua, già presente nell'esperienza attuale del credente, ma che sarà completa nel regno di Dio che ci attende ». Tu vivi già la Pasqua gloriosa del Cristo, tu sei già nella gloria del Padre, perché tu già da questa terra, eri certo del Suo amore. Quante volte lo hai ripetuto anche a noi. Tu dicevi: «Vedete, per un cristiano, non è tanto importante amare Dio, quanto essere certi del Suo amore per noi. Questa sicurezza ci dà conforto, speranza, e fa scaturire in noi, l'amore per Dio e per il prossimo! ». Animato e sorretto da questo Amore, hai costruito la tua chiesa. La tua chiesa che amavi definire: « ... Chiesa di periferia, senza una vera e propria facciata, ma che non ti volta le spalle, accoglie tutti da tutte le parti ... ». La tua chiesa rispecchia il tuo stile di vita: tutti accoglievi, tutti ascoltavi, non rimandandovi indietro nessuno, senza averlo prima confortato. Cosi facendo, realizzavi "la vera chiesa", la chiesa delle anime, la comunità parrocchiale, per la quale hai vissuto e hai dato la vita . Ora noi raccogliamo la tua preziosa eredità e non piangiamo perché Dio ti ha tolto a noi ma lo ringraziamo per averci fatto dono di te.
Gli alunni del 1° Circolo piangono don Cosimo
«Una persona. Una Chiesa. Un Morto. Fasano piange per don Cosimo. Tutti sono uniti nella Chiesa Santa Maria della Salette, la "casa di don Cosimo". Un avvenimento . Don Cosimo è morto! È morto? Si! ... Si! Era un grande uomo. Era un uomo attivo e ricco di fede. Voleva far costruire in breve tempo il campetto . Voleva far felici tutti con il suo sorriso. Tutti volevano un gran bene a don Cosimo: i giovani, i vecchi, i bambini, gli emarginati della città». « ... A ve va costruito una chiesa in una zona nuova della città per "avvicinare" alla chiesa quella popolazione che era un po' lontana ... ». «Don Cosimo era, forse, la persona più buona di Fasano. Egli ha lasciato un compito: mandare avanti il suo sogno». «Mia madre sentì dire un giorno da lui che era contento perché nella sua chiesa c'erano battesimi, comunioni, confessioni, matrimoni, ma c'erano pochi funerali. Poveretto! Questa crudele cosa è successa proprio a lui. È proprio vero che chi è buono muore subito. Davanti al defunto mi scoppia una lacrima. No! No! No! Non voglio piangere. A don Cosimo non piacciono i bambini che piangono». «Faceva ritornare un gran sorriso sui volti tristi dei bambini». «Don Cosimo aveva una voce dolcissima. Ascoltava tutti e sapeva dialogare con tutti. Progettava e organizzava sempre cose nuove ». «Per la morte di don Cosimo ho provato molta tristezza e ho pianto tanto». «Non potrò mai dimenticare questo parroco cosi buono, bravo, generoso e amato da tutta la popolazione di Fasano. Perché è morto cosi presto?»
Una studentessa del Commerciale (di Paola Guarini)
Caro Osservatorio, era un lunedì di ottobre del 1980, frequentavo la terza classe all'Istituto Tecnico Commerciale "G. Salvemini" della nostra cittadina, quando sulla soglia della porta della mia aula si affacciò un uomo vestito di nero: altezza e corporatura medie, capelli neri qua e là spruzzati di bianco, occhi scuri e vivaci dietro austeri occhiali da vista. Era il nuovo insegnante di religione: don Cosimo De Carolis. Dopo un naturale attimo di esitazione, con fare sicuro ma non arrogante, entrò in aula dirigendosi verso la poltroncina posta dietro la cattedra (ambito trono di coloro che credono di aver raggiunto la conoscenza del Tutto e si incoronano regine o re di verità assolute propinate con tracotante certezza), la prese con entrambe le mani per collocarla davanti alla stessa e vi si sedette chiedendo a noi studenti di disporre le sedie in semicerchio, «a ma' di ferro di cavallo» soleva dire. Quel primo atteggiamento determinò l'inizio della caduta delle barriere pregiudiziali, umane e culturali, che il mio essere non credente ed anticlericale aveva irto dinanzi a quell'uomo per il solo fatto che era un prete. Con il passare delle settimane e dei mesi, mi resi conto che don Cosimo era stato per me, l'unico vero Insegnante rispetto a coloro che presumevano di potersi fregiare di questo valoroso titolo e che, invece, si limitavano a vivere la condizione di meri divulgatori di nozioni; cosi come imparai a capire l'importanza della disposizione delle sedie "a ferro di cavallo" che, permetteva a noi tutti, ivi compreso don Cosimo, di guardarci in viso durante le nostre conversazioni in modo che, i nostri concetti fossero espressi con quell'onestà intellettuale che l'incontro di quegli sguardi sembrava esigere. Appresi da lui il senso del rispetto per le persone, le idee e le scelte diverse; rispetto che risiede lì dove si crea la possibilità di espressione del SÉ per tutti gli esseri umani. Ricordo con piacere la conflittualità che si era venuta a determinare nel rapporto tra me e don Cosimo perché quella conflittualità, lontana dall'essere fine a se stessa, mi spronava alla riflessione su t ematiche con le quali non ero mai venuta in contatto e che mi aiutavano a crescere umanamente, idealmente e culturalmente come persona e come donna, nonostante le nostre conclusive opinioni divergessero nella loro sostanza. Apprezzai in lui l'entusiasmo genuino con il quale ci parlò del progetto che aveva in mente rispetto alla costruzione della nuova chiesa nella "zona 167"; un progetto ambizioso se rapportato alle esigue possibilità finanziarie di cui disponeva: «un luogo in cui le persone possano incontrarsi e conoscersi, capirsi ed aiutarsi, perché finalmente comprendano che la chiesa, intesa come edificio, non sia di proprietà del parroco ma della comunità parrocchiale nel suo insieme » - diceva sovente. Cominciai a stimarlo ogni giorno di più, in quanto uomo sempre disposto al dialogo ed al confronto, soprattutto con chi nutriva convinzioni di anticlericalismo e di ateismo. Mi piace infine richiamare alla memoria l'esortazione che gli stava molto a cuore: «ragazzi cari, abbiate sempre nella vita il coraggio del coraggio». Quel "coraggio del coraggio" che non ho saputo attivare in occasione della sua scomparsa, quando non mi sono recata nella "sua" chiesa per veder/o l'ultima volta, quasi che la percezione visiva della sua morte fisica avesse potuto anche comportare la morte di quei grandi insegnamenti, che sono ora parte del mio io più profondo.
Lettera al mio parroco (di Antonietta Latorre)
Carissimo don Cosimo, non scrivo per aggiungere qualche parola a tutto ciò che è stato detto, mormorato tra le lacrime inaspettate rivelatrici di un dolore mai immaginato e tanto più penetrante, per placare in modo rituale il desiderio di sconfiggere la morte nell'incredulità attonita di questi giorni di maggio. La mia è una testimonianza alla rovescia, un 'incontro con un '"assenza", tanto più inconcepibile dato che mai avrei creduto di sentirmene cosi coinvolta e sgomenta; un'angusta sensazione di vuoto, di privazione, di disorientamento, di mancanza; quella sconosciuta certezza, che oggi scopro venire meno e che non mi ero mai accorta di avere cosi salda come ora che mi pare perduta. E perdo quello stabile riferimento, nel viaggio incredibilmente faticoso della mia umanità tanto terrena e dubbiosa verso le irraggiungibili certezze che in te vedevo trasparire e dolcemente lenivano le ferite della mia fede ancora bambina. Credo mi sia mancato di più, in questa domenica di pianto, il tuo abbraccio ai ragazzi di Prima Comunione che sembravano cosi soli sull'altare, come tutti noi e quei gesti consueti che ci avevi abituati a leggere come segni in una sacralità mai disgiunta da momenti di grande tensione spirituale, vissuti insieme ... insieme, come tutto quello che hai voluto costruire, non sulla terra, ma nei nostri incostanti cuori, spesso distratti, dei quali cercavi di fare una Comunità, una Chiesa, come nelle parole del canto. E adesso siamo qui a chiederci quando ci ritroveremo e se sarà quella la gioia della Pasqua tante volte annunziata; speranza, sia pure fragile, della vita nuova, misterioso conforto alle piccole oscure esistenze dell'oggi. ... .. Eppure non avrei mai immaginato di sentire nell'anima questo doloroso silenzio e di non provare appena un po' di pudore per la tristezza che mi regalano questi giorni di maggio, senza il tuo pacato sorriso.
«Sveglia. Il sole è già alto» (di Maria De Mola)
«Sveglia. Il sole è già alto». Era la frase con cui ci svegliavi tutte le mattine al campeggio. Noi, tutti, facevamo finta di dormire, ma la tua apparizione nelle stanze buie era già stata annunciata dalla musichetta che proveniva dal. registratore che recavi in mano. Entravi, aprivi gli scuri e, dopo la fatidica frase, ci ricordavi gli orari del footing, delle lodi, della colazione. Per i più restii ad aprire gli occhi riservavi una doccia con una brocca di acqua e dicevi: «È acqua fresca di fonte». Poco dopo, quasi tutti (c'era sempre qualche ritardatario) ci ritrovavamo a correre per i sentieri nei boschi; tu guidavi il gruppo e ci invitavi a respirare l'aria pura di montagna. Poi ci fermavamo in un punto del bosco dove i raggi del sole riuscivano a penetrare tra le fronde fitte degli alberi: era il momento del "saluto al sole" che facevamo recitando il "Padre Nostro". Dopo qualche esercizio ginnico, tornavamo al campo, facevamo il cerchio tenendoci per mano e recitavamo le lodi; tra noi spiccavi tu, con la tua maglietta bianca che aveva la scritta sul petto: PACE – FORZA - GIOIA. La chitarra accompagnava il canto "Col sole che nasce, parlami Signore". Dopo, il gruppo "mensa" apparecchiava per la colazione; tu davi sempre una mano. A tavola non avevi un posto prestabilito, sedevi dove capitava, sempre in un posto diverso, per stare insieme a tutti. Finita la colazione ti "ritiravi", come tu dicevi, per preparare l'argomento per il lavoro di gruppo che svolgevamo occupando tutta la mattinata. A volte ti inserivi in qualche gruppo, altre, meditavi da solo; era emozionante vederti nel bosco camminare da solo, ora leggendo ora ammirando la natura. Spesso (ornavi al campo con in mano dei funghi; se avevi raccolto qualche porcino il tuo volto era più luminoso e noi ti venivamo incontro scherzandoci sopra. Il pranzo era annunciato dal canto "Questa è la cosa bella, amarsi come fratelli". All'inizio avevamo contestato l'unica scodella dove mangiare il primo e il secondo, ma come al solito, con la tua calma e pacatezza, ci avevi fatto apprezzare anche questo "segno". Non di rado davi una mano nel preparare le pietanze, ma il tuo forte erano le orecchie! te che facevi la domenica insieme alle mamme che venivano a trovarci; quando nel piatto trovavamo qualche orecchietta più grande, incolpavamo te. Nel pomeriggio, dopo il servizio "piatti" (la domenica quando c'erano più piatti da lavare ci aiutavi per fare prima) restavamo a cantare, a suonare mentre tu ti riposavi. ma alle 16.00 ti vedevamo apparire con la tua stuoia sotto il braccio e ci invitavi a riunirei per lo ''yoga". Tu eri molto serio, ma per noi, spesso questo era il momento più divertente della giornata. Seguiva la merenda e poi il “cenacolo”. Questo momento ci rivedeva riuniti in cerchio per relazionare sul lavoro fatto la mattina nei gruppi. Poi, in attesa della cena, si chiacchierava insieme; spesso era anche il momento in cui ognuno di noi, singolarmente, poteva parlare con te, confidarsi, chiedere consigli. Il rituale del pranzo si ripeteva a cena, solo che non c'era il sole a farci luce, ma due o tre lumi a gas e qualche candela. Facevamo tutto in fretta perché ci aspettava l'ormai famosa "ora delle stelle". Intorno al grande falò, che il gruppo " logistico" aveva preparato, si alternavano canti, giochi, scenette; scherzavamo anche su di te e qualcuno si cimentava nella tua imitazione. Non te la prendevi, anzi ridevi con noi. Le nostre giornate al campeggio finivano cosi: incrociando le braccia e tenendoci per mano cantavamo "Al cader della giornata". Poi un ultimo sguardo alle stelle, la tua «Buonanotte, ragazzi» seguita dal nostro brusio e, al chiarore del fuoco, andavamo a dormire. Rileggendo quello che ho scritto mi tornano in mente altri momenti che caratterizzavano il nostro campeggio, come: le danze di Lanzo del Vasto, la veglia della notte del sabato, il cioccolato caldo, la "panzerottata" e tanti altri. Ricordo soprattutto te, il tuo continuo esempio, la tua guida, i tuoi consigli, le tue preghiere, il tuo comportamento evangelico dimostrato ogni' momento con ogni gesto, con ogni frase che dicevi e che era sempre la più giusta. Dopo dieci anni di campeggi insieme, so che la prossima estate non ti avremo più con noi a correre per i boschi, a bere l'acqua dei ruscelli, a dividere il cibo, a pregare, a cantare, a fare quelle lunghe escursioni in posti che solo tu potevi trovare. Ci mancherai molto, ma quello che ci hai insegnato ci servirà ad andare avanti e a continuare sulla tua strada fino a quando non ci rincontreremo in quel posto che tu già conosci e che paragonavi ai paesaggi dei nostri campeggi. Ci lasci con una grande eredità. Grazie don Cosimo.
di Redazione
11/05/2012 alle 19:35:22
Galleria di immagini: In ricordo di don Cosimo De Carolis: le lettere dei suoi fedeli e di chi lo ha conosciuto
Leggi anche:
Macelleria Peppino De Leonardis
Carni e prodotti freschi e alla brace
La storica macelleria De Leonardis con fornello pronto tutte le sere