MEDAGLIONI FASANESI
Vittorio Sgarbi
Carrellata di personaggi illustri fasanesi pubblicati su Osservatorio e pubblicati sul volume "Medaglioni Fasanesi" di Secondo Adamo Nardelli
Vittorio Sgarbi
(da “Osservatorio”, ottobre 1995)
Il ristorante “Il Fagiano” è allocato in un immobile al centro di viale Toledo dove, per volontà del comm. Gian Battista Colucci, sorse nel lontano 1913 in un fondo di sua proprietà. All'inizio la costruzione fu destinata a circolo privato. Nel 1921-22 vi si svolsero, organizzati dal capitano Mario Pagano «trattenimenti musicali e danzanti bisettimanali con intervento delle donne più in vista». Così narra Giuseppe Attoma, autore del prezioso libro La Selva di Fasano, edito da Schena.
Nello stesso luogo, cessata la funzione esclusivamente mondana, fu attivata la pensione ristorante denominata “Il Fagiano”, lungamente gestita dai Bagnardi, prima da Francesco e poi dalla figlia Lucia, che ancor oggi rimane nel cuore di quanti la conoscono per la bellezza, l'eleganza e la deliziosa cucina.
In quel tempo la Selva veniva considerata come luogo climaticamente favorevole ai convaliscenti di tisi, i quali in gran numero vi soggiornavano e taluni vi si insediarono.
Alla gestione della signora Bagnardi Bitetti, nota come “Lucietta Fagiano”, subentrarono negli anno '60 i Ballotta-Sgarbi.
In principio fu Docilla, energica “matriarca” e rigorosa cambusiera, la quale dopo una breve permanenza nelle cucine del ristorante “Zi Teresa” di Torre a Mare, nel barese, dove la cucina emiliana non ha diritto di cittadinanza, si trasferì a Fasano e trovò occupazione presso il ristorante dell'albergo Spalluto ora “Trullo dell'Immacolata”. Durò poco.
Liberatasi la gestione del Belvedere delle Puglia, questa venne assunta da Gastone Ballotta. E qui la carovana, venuta dalle nebbie emiliane, si ricompose. Gastone con la moglie Bianca Alberani e sua sorella Ebe col marito Vittorino Sgarbi, tenuti insieme dal forte spirito unitario materno della Docilla Tubertini Ballotta, intrapresero l'opera di conversione dei pugliesi alla cucina bolognese come seconda religione gastronomica, che nel tempo, salvo alcuni piatti fondamentali, fu influenzata da quella locale. E papà Alberto Ballotta, uomo silenzioso e discreto, sarto di antico lignaggio a riposo, trascorse il resto della sua vita come un principe consorte. La Fasano che conta accolse bene i forestieri, considerandoli missionari di serenità e gaiezza con nuovi piatti, come si conviene a quanti fanno buon esercizio di ristorazione. E così la tagliatella l'ebbe vinta sulle orecchiette.
Ma non per molto. Col passar del tempo, il menù dei baldi emiliani si arricchì di tantissimi piatti locali, eleggendo a trofeo il piatto delle orecchiette al ragù, col quale Docilla guadagnò il “Cuoco d'oro” del re dei cuichi Carnacina.
Così il Fagiano, sulle ali del nome di Gastone, assunse rinomanza regionale, raggiungendo traguardi insperati di affollamento.
Ma tutta la famiglia contribuiva al successo dell'azienda. A reggere il peso vi era anche e soprattutto Vittorino Sgarbi, discreto e silenzioso, con grande professionalità. E furono principalmente i suoi sudati risparmi del lavoro in Inghilterra a consentire, con l'acquisto dell'argenteria, il primo importante servizio matrimoniale per le nozze della figlia di don Michele Aquaro.
Vittorino Sgarbi era nato a Bonporto il 12 marzo del 1931, ultimo di cinque figli, e ad appena dieci anni, a causa delle ristrettezze economiche che caratterizzavano il periodo della seconda guerra mondiale, aveva abbandonato la scuola per lavorare in una modesta trattoria modenese come sguattero, cominciando così una lunga carriera nel settore, passando per vari locali di Modena e provincia.
All'età di 24 anni venne assunto alle dipendenze del ristorante “All'orologio” di Modena, gestito dalla famiglia Ballotta. Qui conobbe Ebe e se ne innamorò. Il locale non andava bene e fu costretto a chiudere. Allora Vittorino emigrò in Inghilterra dove, avvalendosi della sua rilevante professionalità, svolse il ruolo di direttore di sala nei ristoranti di importanti alberghi di località turistiche britanniche.
L'amore sbocciato in Italia per la giovane Ebe fu fortemente contrastato dal fratello, contrario al matrimonio tra i due giovani. Ma Vittorino, preso il coraggio a due mani mise l'aut aut a Ebe: «O vieni con me in Inghilterra o sposo un'altra ragazza!». Ebe, che non poteva consentire la fine di un amore così caldo e spontaneo, pensò bene di raggiungere l'innammorato e fece la “fuitina” internazionale per ricongiungersi al suo amato.
Agli inizi del 1963 tornarono in Italia e uno dei fratelli di Vittorino offrì agli sposi la gestione di un bar a San Marino.
Ma era già cominciata l'avventura della famiglia Ballotta in Puglia, così Ebe e Vittorino si ricongiunsero ai Ballotta-Tubertini per cercare insieme quella fortuna che fino ad allora si era negata.
Nel 1976 la gestione del ristorante, dopo un periodo di accorpamento all'Hotel Sierra Silvana, venne acquistata da Vittorino Sgarbi. Finalmente, la persona più dotata di specifica professionalità potè uscire dalla semi-clandestinità operativa e mettere in campo la sua bravura come unico responsabile dell'azienda.
La sua discrezione, la sua voce sottotono, la sua gentilezza innata, la sua cordiale disponibilità, gli valsero simpatia e rispetto dei frequentatori, ed il suo nome fu abbinato a quello del ristorante: Vittorio del Fagiano.
Oltre trent'anni di attività lo hanno reso popolare non solo per l'eleganza del locale e la bontà dei piatti, ma anche perchè aprì le porte, senza fini di lucro, alle manifestazioni sociali e culturali. Dibattiti politici, giuridici, presentazione di libri, sono stati realizzati gratuitamente nel grande salone delle feste per la disponibilità sincera di Vittorio. Fu questa una supplenza alla mancanza di sedi pubbliche adeguate allo svolgimento di queste manifestazioni, cosa che va a merito della sensibilità dell'indimenticabile Vittorio, il quale ha speso la sua vita per lottare contro l'avversa fortuna con onestà e dignità, raggiungendo infine il grado di sicurezza che gli ha consentito di dare ai suoi figli Carlo e Debora, continuatori dell'attività paterna, la possibilità di laurearsi, lui che non potè nemmeno finire la quinta elementare e fu spinto dal bisogno a lavorare in tenerissima età.
Caro indimenticabile amico, so che non gradivi essere chiamato Vittorino, diminutivo che ti fu imposto perchè eri nato tredici anni dopo l'ultimo tuo fratello e per distinguerti da tuo padre che si chiamava Vittorio. Ma il tuo vero nome non è nè Vittorio nè Vittorino, bensì Vittore, perchè nella vita sei stato grande e vittorioso sconfiggendo le avversità.
di Redazione
14/01/2013 alle 18:49:13
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