MEDAGLIONI FASANESI
Francesco Dell’Anno
Carrellata di personaggi illustri fasanesi pubblicati su Osservatorio e pubblicati sul volume "Medaglioni Fasanesi" di Secondo Adamo Nardelli
(da “Osservatorio”, ottobre 1997)
Sul lato del palazzo di Città che si affaccia su corso Vittorio Emanuele, tra piazza Ciaia e via del Mercato Vecchio, in quell'epoca c'erano due ampi locali di proprietà comunale. In uno era impiantato il centralino telefonico pubblico, dove troneggiava la brava e bella centralinista Palmina Ferrara, di cui Martino Colucci, detto “Gamba di cane” (pur essendo privo di qualsivoglia imperfezione fisica), abile mediatore di prodotti del suolo con ufficio dirimpetto, era fortemente innamorato. Nell'altro locale, più ampio, c'era il re dei sarti, anzi il “dio” dei tagliatori. Quando un uomo è bravissimo nell'arte sua, non si dice forse: «Quello è un Dio»? Ebbene, Francesco Dell'Anno nella sua arte non aveva rivali a Fasano come non ne aveva avuti in ogni luogo nel quale aveva lavorato, in Italia e all'estero. La nostra città ha sempre espresso i valori più alti dell'artigianato, e il titolo di mest' attribuito agli artieri era l'equivalente di “eccellenza”. Tuttavia a Francesco Dell'Anno, salvo che da qualche coetaneo, raramente veniva attribuito tale titolo, perché ritenuto inadeguato al suo livello di bravura. Così tutti lo chiamavano “don Ciccio”. La sua nascita fu dichiarata all'anagrafe dal padre Pietro, di anni 29, di professione sarto, il quale certificò che, in via Cito, la sua legittima sposa Margherita Matarrese, cucitrice, all'una antimeridiana del 1° maggio 1885 aveva dato alla luce Francesco. Lo testimoniarono Francesco Dell'Anno, di anni 73, nonno del neonato, sarto anch'egli, e Gennaro Celi, 48enne, manco a dirlo, sarto.
Don Ciccio soleva dire scherzosamente, con sorriso appena abbozzato sul suo viso imperscrutabile: «Dio crea l'uomo, ma il sarto lo veste, quindi viene dopo Dio». E agli amici, quelli selezionati ammessi nel suo retrobottega, che gli chiedevano: «Anche quando il sarto sbaglia il vestito?», lui rispondeva: «Non sempre gli uomini vengono creati bene. Talvolta l'alito divino, se Dio è raffredato, altera lo stampo, ed esce l'uomo sbagliato che è difficile da vestire». E giù una risatina misurata, come tutto in lui era calibrato a protezione di uno stile di chi signore nasce in senso biologico e non per effetto di artifizi araldici. Don Gianmatteo Colucci, che esercitava la “signorìa” su Fasano, appresa la fama di cui godeva il giovane sarto, si recò da lui per ordinargli un vestito. Don Ciccio annuì ma non prese le misure, né gli offrì la scelta dei tagli di stoffa. Dopo tre giorni inviò il vestito confezionato al gentiluomo, che rimase stupito e soddisfatto. Nel creare Francesco Dell'Anno, Dio aveva certamente alitato senza malanni, viste le sue corrette proporzioni fisiche. La sua data di nascita lo rallegrava, perché era il giorno della festa del lavoro che si celebra in tutto il mondo. Per lui, il lavoro era un altissimo valore. A 14 anni, quando gli morì la mamma, saldò gli onorari dell'assistenza medica confezionando un abito al sanitario. A quella giovane età partì da Fasano per andare prima a Taranto, a lavorare presso un parente, e poi a San Severo.
Fece il militare nel 1905, in cavalleria. Alla fine del servizio di leva gli proposero di arruolarsi col grado di sottufficiale. Declinò l'invito, motivando il rifiuto con una frase di involontaria superbia: «Grazie, io il mestiere ce l'ho».
Dopo la leva andò a lavorare a Roma presso una sartoria in via del Corso, dove si fermò diversi anni. Nel 1910 emigrò negli Stati Uniti, ricominciando da capo la sua trafila. Lavorò come primo tagliatore in una sartoria di New York, nella Quinta Strada. Tra i clienti c'erano i Rotschild. Il proprietario, constatatane l'eccezionale bravura, gli propose di aprire in società una azienda nell'Ovest (San Francisco), ma egli rifiutò per non allontanarsi inesorabilmente dalla famiglia e dal suo paese. Tornò a Fasano, per una visita ai suoi, nel 1922. Viaggiò col biglietto di ritorno già in tasca, ma non si allontanò più dal paese. Vi aprì una sartoria e si sposò il 22 ottobre 1934 con Anna Maria Rosaria Concetta Ruppi. Dal matrimonio nacquero Margherita e Pietro, che infransero la tradizione del ramo paterno avviandosi alle professioni liberali.
Don Ciccio rifiutò sempre di iscriversi al partito fascista, senza però darsi il tono del perseguitato o dell'antifascista militante. Era fiero della sua esperienza in America, nazione che decantava come civile e progredita, anche perché era un sincero democratico. Peraltro gli artigiani fasanesi non aderirono tutti al fascismo, anche perché vantavano una sia pur modesta indipendenza economica.
Dell'Anno era attaccato a vecchie e oneste amicizie, anche con autentici militanti antifascisti, come Teodoro Marangelli, primo comunista di Fasano e perseguitato politico. Tale fatto gli procurò qualche noia e l'inclusione nelle liste di possibili ‘sovversivi' nonostante fosse la persona più pacifica del mondo. Subì perquisizioni domiciliari e talvolta, trovandosi in qualche città importante, per ragioni di lavoro, in concomitanza con visite di personaggi del regime, ne venne allontanato dalla polizia.
Per la verità, a proposito dell'antifascismo fasanese, non va taciuto che quello degli artigiani è l'unico di cui si ha cognizione, ed era in prevalenza dovuto a uno scatto di orgoglio, nel senso che gli artieri per lavorare non avevano bisogno di farsi la tessera del Pnf come gli “sfaccendati” in cerca di posto. Un gruppetto di altri artieri, invece, sempre in senso estremamente pacifico, professava un antifascismo teorico senza nascondersi, come dire, a petto in fuori. Quando vi erano “occasioni” di fermo dovute al passaggio in loco dei gerarchi, i carabinieri non avevano bisogno di andarli a cercare: erano loro a presentarsi in caserma. Non c'è dubbio che, tanto quelli della prima categoria che quelli della seconda, non solo erano amici ma anche clienti di don Ciccio, del quale frequentavano anche il retrobottega nelle serate che precedevano il dì di festa, tanto da mettere in sospetto la pubblica sicurezza. Nessuna paura: nel retrobottega del laboratorio Dell'Anno non c'era un covo di sovversivi, ma un gruppo di buongustai che si intratteneva attorno a una incartata di agnello al forno, un fiasco di buon vino e nocelline ben cotte. Non una trincea, ma un posto di ristoro per pacifici e onesti lavoratori. Dopo la guerra, Ciccio Dell'Anno fu eletto segretario politico dell'appena costituita Democrazia Cristiana di Fasano, ma non partecipò, se non molto temporaneamente, alla vita politica. Tenne aperta la sua sartoria sino all'età di 93 anni, quando fu immobilizzato per la rottura di un femore a seguito di una caduta. Sul tavolo di lavoro aveva ancora distesa e pronta per il taglio la stoffa per un abito da cucire a uno dei suoi affezionati clienti. L'immobilità forzata lo prostrò anche spiritualmente. Morì nel 1980, poco più di un anno dopo. Con lui scomparve una figura luminosa e storica dell'artigianato fasanese.
di Redazione
28/11/2012 alle 11:43:09
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