DA OSSERVATORIO - GENNAIO 1989
Palmina, ultimo capitolo
A distanza di 23 anni, la trasmissione televisiva di RaiTre "Chi l'ha visto" cerca di riaprire il caso "Palmina Marinelli".
Da Osservatorio N.1 Gennaio 1989 riproponiamo un articolo scritto da Michele Jacovazzi subito dopo che un'altra trasmissione televisiva, "Telefono Giallo", si era occupata del caso e che ricostruisce l'intera vicenda.
"Telefono Giallo" ha riaperto nelle case e per le strade di Fasano una questione che sembrava sopita.
Ripercorriamo insieme i momenti chiave della trasmissione.
di MICHELE JACOVAZZI
Innumerevoli parole sono state dette e scritte sulla morte di Palmina Martinelli. Eppure l'interesse e l'attenzione intorno alla sua tragica vicenda non sembrano smorzarsi mai. L'ultima conferma è venuta venerdì 13 gennaio, quando la trasmissione di Rai 3 "Telefono Giallo" ha inchiodato davanti al televisore gran parte della cittadinanza fasanese. Il programma ha senz'altro soddisfatto quanti avevano un'informazione lacunosa, ma ha ulteriormente confermato l' impossibilità di far luce su una vicenda che ha troppe zone d'ombra. Non si doveva certo pretendere un verdetto definitivo o una soluzione a tutte le contraddizioni sollevate dal caso. Ma perlomeno, adesso, non c'è una sola persona che non abbia la sua opinione.
Fasano
Era evidente che una trasmissione di diffusione nazionale avrebbe chiamato in causa tutto il popolo fasanese. Ma che il popolo fasanese dovesse uscirne cosi bistrattato, questo non era prevedibile. Il servizio d'apertura su Fasano città ha offerto alla nazione le immagini squallidissime di un quartiere popolare desolato che «è meglio evitare perché qui non è difficile incontrare spacciatori di droga. Del resto Fasano è purtroppo considerata la capitale pugliese dello spaccio dell'eroina». Quindi , dopo aver posto l'accento sui contrasti accentuati del paese e sui miliardi raccolti nelle Banche di Fasano, non sempre di origine limpida, Augias ha sottolineato: «La vita culturale invece è piuttosto depressa: i film a luce rossa abbondano, cosi come l'unico (o prevalente) passatempo è quello dello struscio, come si chiama localmente (?) il passeggio lungo il corso della città». Il servizio si è quindi chiuso con l'accenno al salto di qualità che la malavita loca le avrebbe fatto col sequestro dell'industriale locale Perrini.
Non siamo sicuri che la pur drammatica vicenda di Palmina Martinelli giustificasse una presentazione di Fasano cosi riduttiva, settoriale, fosca e raccapricciante. È da tempo che assistiamo a una "congiura" della stampa nazionale e regionale contro Fasano. Ormai è stata etichettata per l'eternità: capitale della droga . Ma a Fasano non esiste solo la droga e 40.000 abitanti non sono 40.000 spacciatori e tossicodipendenti. Fa comodo ignorare che anche Fasano ha le sue invidiabili risorse turistiche, la sua storia , la sua cultura, l'orgoglio di un popolo che non può riconoscersi nelle abiezioni della droga e della delinquenza . Non vorremmo che, agli occhi degli Italiani, Fasano diventasse in Puglia quello che è Ottaviano in Campania o Corleone in Sicilia.
Identificare poi la cultura fasanese nel tabellone del Cinema Fioriti è stata l'ultima "perla" di un giornalismo sleale e fazioso. Uno scherzo di pessimo gusto. Era sin troppo faci le scendere in piazza e inquadrare il cartellone di un film pornografico. Ma Fasano non è questo.
La sentenza
Ma tutto ciò ci ha irritati molto meno di quanto ci abbia invece indignato l'assurdo epilogo della storia di Palmina. Nell'ottobre dell'88, infatti, la Corte di Cassazione ha definitivamente sentenziato su questo caso, sostituendo la formula assolutoria di insufficienza di prove del processo precedente con quella assolutoria piena perché i fatti non sussistono. Dunque per la Giustizia Palmina si è suicidata. Ma questa sentenza non ci vieta di avanzare dei dubbi, non ci toglie il diritto di pensarla a modo nostro.
La voce di Palmina
Fa senz'altro rabbia constatare che il racconto di Palmina, le sue parole non abbiano avuto alcuna voce in capitolo. Trentuno giudici si sono pronunciati nello spazio di sette anni ed è come se nessuno di questi le abbia prestato il minimo ascolto. O la minima fiducia. Palmina, da quell'11 novembre 1981 sino al momento della morte, reiteratamente ostinatamente diede la stessa versione dei fatti; a suo fratello che l'aveva trovata in fiamme, ai carabinieri, ai medici, ai giudici ripetette sempre che a darle fuoco erano stati Enrico Bernardi e Giovanni Costantini. Tutti i telespettatori hanno potuto appurarlo con le loro stesse orecchie, quando è stata mandata la registrazione della voce di Palmina che, poco prima di morire, alla presenza del Pubblico Ministero, rispose alle domande del dott. Fiore. Chi era davanti allo schermo ha vissuto qualche attimo di profonda partecipazione, di assoluto silenzio, soprattutto di angosciosa impotenza. Un'esperienza che s'imprime sulla pelle. Il suo respiro affannoso, appena qualche parola , il nome di quei due, poi «fuoco e fiammifero». Un filo di voce. Un filo di voce che tuttavia "gridava" l'ennesima accusa di Palmina ai suoi omicidi . E forse il suo attaccamento alla vita. La logica della Giustizia è troppo ferrea, troppo rigida per tenere conto degli aspetti umani di una tragedia. Ma quale interesse avrebbe avuto Palmina, in punto di morte, a fare il nome di due "innocenti"; uno dei quali era il suo fidanzato?
Vittima dell'ambiente
Che Palmina sia prima di tutto vittima del suo ambiente, questo è indiscutibile ed è emerso chiaramente dalla trasmissione. Vittima predestinata persino dell'inconsapevolezza di due genitori che, in situazioni disperate, mettono al mondo 11 figli. Una volta lasciata la scuola , a Palmina viene affidata la casa e il compito di accudire ai due fratellini più piccoli. Una vita impossibile per una ragazza di 14 anni. Una vita fatta anche di umiliazioni , compreso quell'11 novembre: schiaffeggiata in pubblico da suo cognato, schiaffeggiata, finanche mentre ardeva, da suo fratello. Una vita che non le piaceva, se è vero che Palmina tentò una fuga con Giovanni Costantini, pur durata una sola notte. Suo padre era spesso disoccupato, su sua madre e sua sorella, in paese, correvano delle voci.
La storia di Palmina è anche la storia di Franca , sua sorella. Franca Martinelli viene costretta da Enrico Bernardi a prostituirsi e ricattata attraverso la sua bambina di pochi mesi . «Devi scegliere, il corpo o la vita di tua figlia» le impone il Bernardi. Viene persino timbrata «come quando vendono gli animali». Si porterà per sempre il nome di Enrico inciso sul l'anca sinistra prima con la lametta, poi con l'ago. Il segno perenne della sua umiliazione. Impossibile da cancellare anche nei nostri occhi . Un'altra storia agghiacciante, che ci vergogniamo appartenga alla nostra epoca. Mai nessuno avrebbe dovuto permettere che Giovanni Costantini, fratellastro di Enrico, si avvicinasse a Palmina. Eppure sua madre dichiara in televisione di non aver mai avuto paura. Emerge anche che le testimonianze in processo di Franca e Antonio, suo fratello, furono colme di contraddizioni e di repentine ritrattazioni. Troppe storie di degradazione si sono incontrate nella vicenda di Palmina. Fosse vissuta in un altro ambiente, mai nessuno avrebbe avanzato l'ipotesi del suicidio. Fosse vissuta in un altro ambiente, sarebbe stato estremamente più facile giungere alla verità. Lei ha pagato per tutti.
La lettera di addio
Le sue condizioni di vita sono tutte nella lettera di addio: «Mamma. tu mi capisci e io lo scrupolo non me lo mantengo e allora sono andata a vedere tutte queste fesserie che mi hanno detto Mimmo, Catia, Vito ecc. Papà mi chiude Cesare mi stropia tu chi sei che fai io vi dico una cosa mi sono stufata ADDIO PER SEMPRE». Per l'accusa questa non è una lettera di addio alla vita. Il cambio di colore della penna dimostra che fu scritta da Palmina spontaneamente e senza fretta. La madre afferma invece che fu forzata. Forse quello era un addio alla famiglia. Palmina voleva scappare con Giovanni . Forse si era illusa. Forse Giovanni Costantini, in quel quarto d'ora tra le 16. 15 e le 16.30, le prospettò invece una vita diversa, quella del marciapiede; lo deduciamo dalle frasi pronunciate da Palmina durante l'agonia e riportate a verbale.
Peraltro il perito calligrafo prof. Mario Franco sostiene che tutta la lettera sia di pugno di Palmina fino ad "ADDIO P. " (spesso firmava con la P appuntata). Di fatti appare evidente, proprio dopo la P, un puntino. Dunque "ER SEMPRE" sarebbe stato aggiunto da un'altra mano per avvalorare la tesi del suicidio. Il confronto dei caratteri in stampatello di quel'"ER SEMPRE" con altre lettere di Palmina mostra differenze lampanti. Il prof. Franco avrebbe persino dimostrato, sulla base di una ricca documentazione, che quell'aggiunta è attribuibile al Bernardi. Dunque, fu vero suicidio? Questo ha cercato di chiarire un'interessante "Tavola rotonda" nella seconda parte della trasmissione.
L'alibi di Enrico Bennardi
Enrico Bernardi e Giovanni Costantini sono stati scagionati dall'accusa di omicidio. Ma i loro alibi reggono fino in fondo? Enrico Bernardi sostenne che il pomeriggio di quell '11 novembre si trovava in compagnia di amici a Carovigno, dove sarebbe stato visto l'ultima volta alle 16.05. Carovigno dista da Fasano circa 28-30 Km. Il giudice di spose un accertamento da parte dei carabinieri di Bari, i quali hanno percorso i 28 Km. in 16 minuti alla media di 105 Km all'ora con punte di 156. Dunque il Bernardi alle 16.2 1 poteva già trovarsi in casa Martinelli. Tra l'altro di sponeva di una BMW. Ma l'avvocato di parte civile, per il " Tribunale 8 marzo", Laura Remiddi ha precisato che si tratta di un finto alibi. Interrogato all'indomani del delitto, Enrico Bernardi dichiarò di aver trascorso il pomeriggio dalle 15.00 alle 20.00 al cinema. Stranamente nei giorni successivi , arrestato con degli amici che avevano davvero trascorso il pomeriggio a Carovigno, cambiò versione e cominciò a costruirsi il suo alibi. Resta il fatto che nessun riconosci mento è stato mai fatto. Il Bernardi non fu riconosciuto nemmeno dal proprietario del Bar di Specchiolle, amante di Angela Lo Re, sua madre.
L'alibi di Giovanni Costantini
Giovanni Costantini dichiarò invece di aver passato quell'11 novembre nella Caserma di Mestre, dove stava facendo il militare. Tesi confermata in un primo momento da una nota del Comando di Mestre in cui si legge che «Giovanni Costantini, l'11 novembre non ha fruito di libera uscita, bensì era presente al reparto». Il suo alibi è clamorosamente crollato. La Corte D'Assise di Bari nella sentenza di 1° grado dice: «Dopo i primi accertamenti che davano per certa la presenza del Costantini nella Caserma di Mestre, le successive indagini svolte in loco dal maresciallo Conte e in particolare deposizioni dei teste […] hanno consentito di accertare che l'11 novembre l'imputato non era a Mestre, mentre è certo che era in Caserma la mattina del 10 e quella del 12 successivo e che andò clandestinamente a casa, come confessò allo stesso Figus (compagno di camerata) per rientrare a Mestre la mattina del 12 novembre, presumibilmente in treno».
Il metodo brutale del darsi fuoco
L'avv. Perchinunno, che difese Giovanni Costantini , ha rimarcato la tesi del suicidio, ricordando che «la povera Palmina aveva tentato in precedenza un'altra volta di suicidarsi, ingerendo della varichina». L'avv. di parte civile Marinella De Nigris Siniscalchi ha subito ribattuto che «proprio questa favola della varichina (tra l'altro non documentata in ospedale) dimostra che Palmina non voleva uccidersi, che non avrebbe usato un sistema cosi disumano, cruento come quello del fuoco». Davvero una ragazza che vuole uccidersi, sceglie di farlo addirittura bruciandosi? L'altro avv. di parte civile Laura Remiddi ha giustamente sottolineato che «nel Sud il darsi fuoco, questo atto di autolesionismo non esiste. Mentre il dare fuoco è un atto di sfregio, di vendetta, di rancore, di offesa. Tra l'altro Palmina s'era cambiata di abito. Quando è andata in piazza ad affrontare il ragazzo (che "sparlava" di lei) vestiva in jeans, quando è stata trovata dal fratello portava un vestitino avano e una collanina di conchigliette intonate a colore». Che senso avrebbe avuto cambiarsi il vestito, se aveva già deciso di morire? Non avrebbe più senso pensare che Palmina s'era preparata per fuggire via? E se davvero Palmina aveva scelto di distruggersi con le sue stessi mani , perché mai davanti a suo fratello e al dott. Di Bari (al Pronto Soccorso) si sarebbe ripetutamente lamentata di aver perso la sua bellezza?
Le perizie scientifiche
A sostenere la tesi del suicidio è stato anche il perito medico legale prof. Pietro Zangani: «Palmina non presentava lesioni traumatiche da afferramento, da imbavagliamento, segni di bende o di garze. L'alcool denaturato aveva cosparso regioni corporee anteriori, tutte autoaggredibili. Infine i due palmi della mano erano indenni da ustioni. Mentre chi è in preda ad ustioni cerca di salvarsi o di togliersi gli indumenti in fiamme o di spegnere le fiamme stesse, quindi i palmi dovrebbero bruciarsi».
Teoria quest'ultima smontata dal prof. Pesce Delfino. I palmi delle mani non risultavano ustionati perché le due mani di Palmina erano occupate a proteggere gli occhi , come mostra peraltro l'assenza di bruciature a livello delle ciglia. Tra l'altro l'alcool determina la formazione di una fiamma molto calda, fortemente ascendente e veloce. Pesce Delfino avrebbe dimostrato che «manca la possibilità materiale per fare l'operazione di accendere l'incendio e poi difendere gli occhi, prima che quella particolare fiamma raggiungesse gli occhi stessi».
Quanto al fatto che mancassero sul corpo di Palmina lesioni traumatiche da afferramento, imbavagliamento ecc., il prof. Palmieri è intervenuto per telefono spiegando che era impossibile individuarne perché «è mancato completamente il quadro iniziale delle lesioni riportate effettivamente da Palmina, mentre si è operato solo su fotografie riguardanti quello che era il quadro dopo 20 giorni di trattamenti terapeutici, con innesti e trapianti cutanei».
Una mancanza gravissima, come molte altre. Troppe perché si potesse giungere alla verità: una perizia collegiale sulla lettera di Palmina non è stata mai fatta; Palmina non fu mai interrogata da alcuno, nemmeno dal Pubblico Ministero competente di Brindisi, se non dal dott. Magrone in rogatoria, per incarico; la cosa più sconcertante è che non fu mai fatto un sopralluogo in casa di Palmina, se non dopo la sua morte. Perché mai? La risposta l'ha data il magistrato che ha rappresentato l'accusa, il dott. Nico la Magrone: «La mia opinione è che 10- 20 anni di legislazione di prassi dell'emergenza hanno abituato il giudice a interessarsi delle grandi cose, Palmina era una piccola cosa».
di Redazione
27/10/2012 alle 17:51:22
Leggi anche:
Macelleria Peppino De Leonardis
Carni e prodotti freschi e alla brace
La storica macelleria De Leonardis con fornello pronto tutte le sere