MEDAGLIONI FASANESI
Giovanni Correnti
Carrellata di personaggi illustri fasanesi pubblicati su Osservatorio e pubblicati sul volume "Medaglioni Fasanesi" di Secondo Adamo Nardelli
Giovanni Correnti
(da “Osservatorio”, aprile 1997)
Due cose l'uomo non può scegliere: da chi nascere e la data di morte. Viene al mondo e lo lascia nella più totale inconsapevolezza. Può nascere quindi da grembo povero o ricco, morire longevo o prematuramente, come da povero può diventare ricco e da ricco povero, partecipando alla misteriosa lotteria della vita. Quasi mai la ricchezza materiale è capace di nutrire il cuore e lo spirito dell'uomo come la povertà, che induce l'uomo a sognare e a sperare.
Giovanni Correnti venne al mondo il 18 giugno 1917 in una casa, alcova, camerino e sala (si fa per dire) di non più di 25 metri quadri, naturalmente priva di servizi igienici. All'età di 11 anni divenne orfano di padre. Già da un anno faceva il ragazzo di bottega nella barberia di Amato, in piazza Ciaia, lucrando qualche modesta mancia dalle spazzolate sugli indumenti dei clienti. La forte volontà di sconfiggere l'avversa sorte lo spronava a studiare sui libri che gli amici gli prestavano. Don Antonio Legrottaglie, sacerdote molto vicino ai giovani che frequentavano il circolo cattolico “Contardo Ferrini”, gli impartì lezioni di latino. Divenne poi commesso nel negozio di abbigliamento di Andrea Di Bari, nella piazza centrale, uno dei più importanti di Fasano. L'operosità del Nostro non aveva limiti. Fu assunto come contabile nella ditta Giannuzzi, grossista di alimentari, assolvendo anche tale compito con buona perizia, non disdegnando sacrifici notevoli quando si recava fuori sede per il rifornimento dei prodotti. Poi venne la chiamata alle armi nell'aeronautica, e nel 1941, quando prestava servizio in un reparto di Grottaglie, si presentò agli esami di abilitazione magistrale nell'Istituto “Luigi Ruzza” di Taranto, dove incontrò Michele Brunetti, reduce dai seminari cattolici. Entrambi erano in divisa: uno di aviere, l'altro di fante distrettuale. Invano Brunetti offrì il compito di latino a Giovanni, che lo rifiutò sdegnosamente ritenendo che il suo fosse migliore. Ma accadde che il primo fu rimandato solo in matematica e fisica; per il secondo, invece, a queste due materie si aggiunse anche il latino. Gli esami di riparazione furono superati da entrambi, e così l'orfano che aveva dignitosamente affrontato l'impatto con la vita senza guida divenne per suo merito professionista. Nel 1945 il direttore didattico Giuseppe Gaeta, che l'aveva preso in simpatia e ne apprezzava l'intelligenza, lo indusse a fare domanda di supplenza. Ciò gli consentì di convolare a giuste nozze con Palma Serafino. Dal matromonio nacquero tre figlie: Angela, Anna e Ginetta. Nel 1948 superò il concorso magistrale ed entrò in ruolo. Nel ‘52 un altro evento doloroso segnò la sua esistenza. Il fratello Vito Oronzo e la moglie di costui, mentre transitavano in lambretta, furono investiti da un'auto: la cognata Gina morì sul colpo; il fratello passò a miglior vita dopo poco tempo lasciando due figlie, Titina e Linuccia.
Giovanni, dal grande cuore, non volle che le nipoti, com'era successo a lui, sentissero il vuoto dei genitori. Le affiliò, e alla sua ultimogenita, nata dopo la disgrazia, impose il nome della cognata. Non vi fu mai differenza di trattamento tra le sue figlie e quelle del fratello.
Nella scuola, dove gli fu affidata la direzione del patronato scolastico, diede il meglio di sé come organizzatore e persona sensibile ai problemi sociali.
Nel 1958 venne eletto in consiglio comunale nella lista saragattiana, e conseguì un successo strepitoso alle provinciali del ‘60 raddoppiando i voti socialisti (1.470 contro 745), proprio per l'effetto “simpatia” che il personaggio riscuoteva. Fu vicesindaco e assessore alla pubblica istruzione, dedicando all'attività pubblica la sua intelligenza e il suo cuore. Alle comunali del ‘62 portò i suoi voti di preferenza da 227 a 690 su 1.131 voti di lista, record assoluto mai superato da quanti si sono candidati nelle liste socialdemocratiche.
Il 24 giugno 1966, come un baleno, tra lo stupore generale, come un baleno, tra lo stupore generale, si sparse nella città la notizia della morte di Giovanni Correnti. La gente era increduòla: si può morire a soli 49 anni? Un signore nato povero era scomparso tra le nebbie della morte. Restava il ricordo di una personalità che aveva trasformato la simpatia di cui godeva in un potere politico di ragguardevole entità. Ebbe tanti amici. Piazza Ciaia fu il suo quadrilatero: la barberia, il negozio di abbigliamento, il Comune e il Circolo cittadino. In quella piazza Correnti fingeva di farsi “sfottere” per poter punzecchiare gli spiritosi. Era in grado di tener testa a quanti tentavano di stuzzicarlo. Chiamava scherzosamente Cazza Mingule Florindo Perrini, con riferimento alla sua attività commerciale. Cazza Vricce (brecciaiuolo) era invece per lui Ciccio Di Bari, che in società con l'avv. Mario Custodero e col dott. Alessandro Pezzolla (detto “Alessandro del Diavolo”) gestiva una cava di pietra con risultati catastrofici. L'appellativo per se stesso era Cazza Carne, perché intendessero che il più svelto di mente era lui.
Don Gerardino Brescia, ufficiale postale, era molto amico del maestro Correnti, al quale ogni anno, a maggio, mese nel quale si prepara “la roba” per salire in collina a villeggiare, confessava il suo rincrescimento per il fastidio dei preparativi e del trasporto. «Don Gerardo, ma chi ti obbliga a farlo!». «Sai Giovanni, non è per me o per mia moglie, ma per i figli». E il maestro di rimando: «Ammazza i figli e risolvi il problema».
Un giovane chiese al maestro Correnti un certificato scolastico che poteva prodursi dall'archivio conservato nell'attuale 1° circolo, del quale era responsabile il maestro natoli, altra figura simpaticissima del mondo scolastico del tempo, che non si risparmiava quando doveva spiritosamente incrociare la lingua col collega Correnti. Questi suggerì al giovane richiedente: «Sai dov'è la scuola elementare? Bene. Fatti indicare la stanza del maestro Natoli e digli così: signor maestro, ha detto il professor Correnti di rilasciarmi il certificato di studi al mio nome». Il maestro Natoli, su tutte le furie, disse all'improvviso messaggero: «Sicché io sarei maestro e lui professore? Vai da Correnti e digli: ha detto il professor Natoli, vé t'a pìgghie ngòule!».
Quando ci fu la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini, un gruppo capeggiato da Oronzo Guarini, di cui facevano parte Correnti, Custodero, Achille Trisciuzzi e tanti altri, aprì bottega politica separata. Ciccio Di bari, inesauribile punzecchiatore, usava espressioni piuttosto pesanti contro i compagni “traditori”. Una volta li definì «i pezzenti della politica». Ma il baldo maestro Correnti non se la fece passare e rispose: «Siete voi i pezzenti. Noi, invece, siamo i “Colucci” della politica». Quanta nostalgia suscita il ricordo di un personaggio così ricco di simpatia e dell'epoca in cui la politica non prescindeva dal rispetto tra persone.
di Redazione
19/09/2012 alle 11:37:33
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