1978-2003: 25° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI VIA FANI
Le primavere perdute di Franco Zizzi
da Osservatorio n. 2-2003
16 marzo 1978: edizione straordinaria della Gazzetta del Mezzogiorno.
Piazza Ciaia, i corsi, via Carlo Alberto, via San Nicola, via del Balì, il centro storico. Tutto il cuore della città è un immenso tappeto umano. Almeno diecimila persone, forse di più, sono stipate come sardine per l'ultimo saluto al vicebrigadiere di polizia Franco Zizzi. È il 19 marzo 1978, una domenica triste, una indimenticabile giornata di lutto e angoscia. Mai vista, a memoria d'uomo, una folla simile.
Un elicottero vigila in cielo. Soltanto le pale che volteggiano nell'aria rompono l'irreale silenzio, mentre una bara, portata a spalla, s'avvia a fatica verso la chiesa Matrice...
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Sono passati venticinque anni. Un quarto di secolo. Cinque lustri. Immagini ancora nitide, aspre, dolorose, per una ricorrenza che sa d'amaro, una ferita che torna a sanguinare.
Il giorno più lungo nella storia della Repubblica è un giovedì, il 16 marzo 1978.
Attorno alle 10 radio e tv interrompono i programmi per dare la tragica notizia: a Roma, in via Fani, rapito Aldo Moro, trucidati cinque agenti di scorta. Firmato: Brigate Rosse.
Sbigottimento e incredulità sono le prime reazioni per un attacco terroristico tanto ardito, semplicemente impensabile. Hanno sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana. Oltre 80 colpi in 40 secondi: auto e corpi crivellati dai mitra, una potenza di fuoco impressionante. Il Paese è sotto shock. Moro è scomparso.
Restano cinque cadaveri e tanta rabbia impotente.
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Anche a Fasano la gente si riversa in strada. In molte aziende, uffici, scuole, tutto si blocca. È mobilitazione totale: partiti, sindacati, associazioni, istituzioni pubbliche. A mezzogiorno è ormai certo che tra le vittime c'è un fasanese: il vicebrigadiere di P.S. Franco Zizzi, 30 anni, aggregato alla scorta di Moro – per una fatale coincidenza – solo il giorno precedente, in sostituzione del brigadiere Gentiluomo, fermo per un turno di riposo.
Zizzi è l'unico ancora vivo quando i primi soccorsi giungono in via Fani. Viene portato al Policlinico Gemelli. «È un miracolo se ne verrà fuori» dichiarano i medici. L'équipe operatoria è composta dai professori Castiglioni (direttore della clinica chirurgica), Intonti (cardiochirurgo dell'Università Cattolica) e Barone. Il giovane, che ha perso almeno due litri di sangue, ha il torace forato dalle pallottole: il cuore è già quasi fermo. Lo rianimano, ma le numerose lesioni ai polmoni, al collo, al fegato, ai reni, al diaframma, sono irreparabili. Due ore di inutili sforzi: lo sfortunato agente muore sotto i ferri. Il miracolo non accade.
L'autopsia sentenzia: decesso per emorragia intestinale causata da colpi di mitra.
In via Fani, sulla scena del massacro, il brigadiere Gentiluomo, che avrebbe dovuto morire al posto di Zizzi, s'accascia piangendo sull'Alfetta bianca della Polizia alla cui guida era proprio il fasanese. Anche la Fiat 130 ministeriale di Aldo Moro è ancora là, testimone dell'agghiacciante tragedia.
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A Fasano, nel primo pomeriggio, il consiglio comunale si riunisce in seduta straordinaria. Poi sfila per le vie della città un mesto corteo preceduto dal gonfalone civico abbrunato, con in testa il sindaco, la giunta, i consiglieri, esponenti di tutti i partiti e tantissimi cittadini sgomenti. I familiari di Franco Zizzi partono immediatamente per la Capitale.
Venerdì 17 marzo la nostra città, come tutta l'Italia, si ferma completamente. Una paralisi di dolore e indignazione.
Sabato 18 marzo, alle ore 16, gli strazianti funerali ufficiali a Roma, nella Basilica di San Lorenzo, presieduti dall'ordinario militare mons. Mario Schierano davanti alle più alte autorità dello Stato. C'è anche Eleonora Moro, che dichiara: «Li conoscevo tutti, erano bravi ragazzi». «Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei giusti» dice il celebrante.
All'uscita, 150 mila romani, accalcati nel piazzale del Verano, applaudono e gettano fiori sulle bare (avvolte nel tricolore) dei cinque martiri di via Fani: Oreste Leonardi, Giulio Rivera, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino e il nostro Zizzi.
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La mattina del 19 marzo, Domenica delle Palme, la salma di Francesco Zizzi giunge al paese natale. Nell'atrio del Municipio è allestita la camera ardente, vegliata da picchetti d'onore di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Davanti al feretro, tra decine di cuscini e corone floreali (tra cui quella del presidente della repubblica), spicca la foto del giovane poliziotto. Per lunghe ore si sussegue il commosso omaggio dei concittadini: è una processione senza fine di persone d'ogni età, che passano davanti alla bara per deporre un fiore, sussurrare una preghiera o semplicemente per un segno di croce. Molti piangono, altri a stento trattengono i singhiozzi. Cinquemila firme (dicono le cronache) sul registro delle condoglianze.
I familiari di Franco, impietriti, assistono in un angolo dell'androne municipale.
Bandiera a mezz'asta al balcone del Comune.
Alle 15.30, mentre le campane della Matrice rintoccano a morto, le spoglie di Franco Zizzi, precedute da un drappello di commilitoni in alta uniforme, iniziano una lentissima marcia verso la chiesa per la celebrazione del solenne funerale. Tanti altri Comuni pugliesi hanno mandato i loro gonfaloni, che si uniscono al Faso listato a lutto. Un collega di Franco porta un cuscino col berretto del Caduto. Delegazioni militari, autorità civili, sacerdoti, si mettono in corteo insieme ai parenti, fendendo la marea umana. Stendardi d'arma e bandiere di partito sbucano sopra le teste, mentre la gente strabocca anche su balconi, finestre, terrazze.
È impossibile formare un corteo: sarebbe molto più lungo del percorso a disposizione. Mai come in questo giorno la secolare staticità della chiesa di San Giovanni è messa a dura prova. Le porte restano spalancate. Non c'è altro spazio nemmeno per uno spillo. Ma oggi tutto il paese è chiesa, le strade circostanti sono navate, il selciato del borgo antico è una gigantesca aula liturgica all'aperto per quest'assemblea eucaristica sterminata, ove l'eco dell'organo, dei canti, del rito funebre – concelebrato dal vescovo Antonio D'Erchia e da tutti i parroci di Fasano – giunge attutita ma viva, come un'onda emozionale che attanaglia gli animi.
Quando la bara esce, fra lo schioccare dei tacchi nei saluti militari, una voce grida: «Vicebrigadiere Francesco Zizzi: presente!».
Brividi e lacrime.
La muta sospensione degli sguardi prorompe in un interminabile applauso, mentre la salma di “Cuoricino” – così lo chiamavano da ragazzo per la sua bontà – parte per il cimitero, tagliando due ali di folla senza soluzione di continuità, da largo Chiesa, attraverso la piazza, via Egnazia, via Musco, fino al viale dei cipressi...
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Il 26 aprile 1978 anche una cinquantina di fasanesi, pellegrini in via Fani, posano fiori sotto l'improvvisato altarino che incornicia le foto di Franco Zizzi e degli altri agenti «barbaramente uccisi soltanto perché esecutori fedeli dei compiti loro affidati dallo Stato» (così il papa Paolo VI all'udienza generale nella stessa data).
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Dopo 55 giorni inenarrabili, il corpo dell'on. Moro viene ritrovato senza vita nel cofano di una Renault, in via Caetani, a Roma. È il 9 maggio 1978.
A distanza di una settimana, il 16 maggio, Fasano cristiana si unisce in preghiera per Aldo Moro e Franco Zizzi in chiesa Matrice, con una messa di suffragio celebrata dal vescovo. I familiari del «nostro carissimo e diletto Franco Zizzi» (parole di mons. D'Erchia) sono seduti in prima fila, e insieme a loro c'è un popolo intero, che piange per questo figlio perduto nell'insensata spirale d'odio e violenza degli “anni di piombo”, piange per questa giovane vita stroncata da una folle ideologia sconfitta dalla storia.
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Franco Zizzi era nato a Fasano nel 1948. Si era arruolato in Polizia nel gennaio del '72, sei anni prima che si compisse il suo atroce destino.
In un nostro precedente articolo (Osservatorio n. 9-2001, p. 31) abbiamo rilevato come tutti i brigatisti rossi coinvolti nella strage di via Fani (oltre trenta persone) si trovino attualmente in stato di piena o parziale libertà, grazie alla generosità delle leggi di quello Stato ch'essi volevano distruggere. Insomma, gli assassini di Franco Zizzi, degli altri quattro agenti e di Moro, chiusa la parentesi della loro delirante militanza comunista e marxista-leninista, si sono rifatti o si stanno rifacendo una vita. Alcuni, addirittura, non sono mai stati nemmeno arrestati: vivono latitanti all'estero. Né si conosce, dopo 25 anni, l'identità di tutti i membri del commando di via Fani: personaggi misteriosi, oscure connessioni col Kgb sovietico, tanti interrogativi rimasti senza risposta.
Fasano ha onorato la memoria di Franco Zizzi intitolandogli una piazza, all'incrocio tra via S. Margherita e via del Calvario (altra inquietante coincidenza di un nome sacrificale).
Nel cimitero c'è una tomba-monumento sovrastata da una mimosa che ogni anno, proprio a marzo, fiorisce.
Sono i profumi delle primavere che Franco non ha vissuto. E sono già venticinque.
di GIOVANNI QUARANTA
di Redazione
28/03/2016 alle 10:24:23
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