LA CONFIGURAZIONE ARCHITETTONICA DEGLI IMMOBILI URBANI NEL SETTECENTO
Sottani e soprani alla fasanese
da Osservatorio n. 3-2002
La settecentesca Platea delle case di proprietà del locale Monastero delle “Donne Monache” offre un quadro architettonico esaustivo della dimora fasanese dell'epoca.
Tralasciando le magioni signorili e i lussuosi palazzi, che non compaiono nel patrimonio immobiliare delle religiose (salvo il Palazzo de Hitta), ci rendiamo conto che nel borgo il popolo abitava in case “sottane”, “sottane a cantone” o “soprane”. Per saperne di più abbiamo consultato il Dizionario fasanese-italiano del prof. Giuseppe Marangelli. U suttäne è il locale o casa a pianterreno, a volte anche interrato. Al femminile il vocabolo indica un indumento da donne; al plurale le fecce dell'olio, del vino, utilizzabili nell'industria (op. cit., vol. III, p. 494). Cantàume, invece, è l'angolo, il cantone, per cui “sottano a cantone” è una casa ad angolo (op. cit., vol. I, p. 123). Supräne, cioè superiore, è la casa o locale che sta al primo piano (op. cit., vol. III, p. 493). In proposito, Gianni Custodero nel libro Fasano è così (Schena, 1960, 2ª ed. 1995) afferma che case di quel tipo «hanno fatto Fasano» dal '600 fino ai primi decenni del Novecento. «La dimora in economia dei buoni fasanesi di una volta è formata – scrive il Nostro – da tre vani ricavati con la massima ingegnosità nel minore spazio possibile. Questo tipo di costruzione s'incontra solo a Fasano. Qualche forma di costruzione, nella Daunia, nel Gargano e nelle vicine Noci e Mola, si potrebbe avvicinare alla nostra arcune i camaréine (alcova e camerino); manca però in quelle l'equilibrio delle nostre bianche abitazioni».
Casa sottana di G. Salamini
A pagina 140 del succitato cabreo leggiamo di una «casa sottana a lamia, detta di Giacomo Salamini, oggi (secolo XVIII, ndr) cantina vicino al Parlatorio». L'abitazione è allogata «dentro la terra al capo di sopra, e proprio nella stradella che non esce (chiusa, ndr) e principia dal vicinato di S. Maria dell'Arco». È quest'ultima una seicentesca cappella, appartenente all'Università, denominata dell'Arco «per la presenza di un arco accanto ad essa» che, secondo la tesi di Angelo Custodero, «dovette essere aperto nel muro di cinta quando fu costruita... la chiesa delle Monache per metterla in comunicazione con la vecchia terra» (G. Sampietro, Fasano, indagini storiche, rist. anast. Schena, 1979, pp. 330-331).
La chiesetta, oggi, intitolata alla Madonna delle Grazie e appartenente sempre al Comune, è aperta al culto in maniera permanente, custodita dalla devozione del popolo con il patrocinio della Confraternita del SS. Rosario. Ogni anno, il Venerdì Santo, ospita uno dei più struggenti “sepolcri” della città. La casa dei Salamini, dunque, è vicina alla suggestiva cappella e «tiene il suo ingresso dalla detta stradella verso scirocco, con altra porta, che esce al vicinato del Parlatorio verso tramontana, tiene parimenti il suo focolaio, o sia camino». Confina con le case “soprane” e “sottane” del reverendo Don Luca Schiavone, con la muraglia del recinto della terra, e con la casa “sottana” del maestro Onofrio Bungaro. In caso di vendita dell'immobile vige l'obbligo di pagare la decima (imposta corrispondente alla decima parte del patrimonio) al Balì di Fasano.
Casa sottana di A. Brescia
Il Monastero (pagina 126 della Platea) acquisisce la suddetta proprietà Salamini in seguito allo scambio effettuato con la “casa sottana” della vedova Angela Brescia: «Tale cambio fu fatto per essere d'utile e vantagioso per il Monastero come da Decreto della Spiritual Curia di questa terra, emanato lì 28 aprile 1739». La casetta della Brescia «dentro la terra, e proprio alla strada, sotto l'Arco del forno (via del Forno ancor oggi, ndr) al capo di suso» consiste in «un sottano d'abitazione con volta a lamia. Tiene il suo ingresso della strada publica verso tramontana, tiene parimenti il suo camino». Confina con un “sottano” con postura (cioè posizione, vista) della signora Anna Maria Cofano e con altre tre case della signora Brescia medesima.
Casa sottana a cantone
Delle suddette tre case, le religiose ne acquistarono una attigua a quella innanzi descritta, dalla signora Angela e dal figlio di lei Leonardo Cofano, per il prezzo di 89 ducati e 60 grana, presi dal deposito delle loro doti (pagine 127 e 128):
«Della qual somma li medesimi si estinsero docati 50 andavano dovendo a Rocco Guarino ed Agnese Valente coniugi, e in loro luogo consegnati al Rev. Don Leonardo Adami juniore, come procuratore del Rev. Capitolo per avere detti docati cinquanta de Monti di Maritaggi, per la pignorazione della casa sopradescritta e docati diecesette sborzati a Vitantonia D'Ancone e Francesco Paolo Di Carolo coniugi per li quali tenevano pignorata la sopradescritta casa...; docati diecesette si consegnarono a Vito di Mola, dal quale si diede a godere a detti coniugi una casa sottana a travi (e non a lamia, ndr) dietro il Purgatorio (in piazza Mercato Vecchio, ndr) ed il restante di docati ventidue se li sborzarono di moneta contante, e si riceverono da detti venditori, come da publico istromento per mano del notaio Carlo Galatola il dì 8 febraio 1736».
Rivisitando, attraverso la Platea, alcune case “sottane” di un tempo, immagino che qualche malizioso lettore avrebbe preferito approfondire ben altre “sottane” più appetibili, soprattutto se “datate”. Ahimè!, deve invece accontentarsi di ciò che “offre il Convento”...
Due case soprane
E il nostro Convento di San Giuseppe possiede anche case “soprane”, di cui due di Carlo Rocco Potenza «dentro il Borgo, e proprio al vicinato di S. Vito» (pag. 119 della Platea).
Si deve sapere che esisteva in loco «una cappella dedicata a San Vito, trasferita poi – come riferisce il già citato Custodero – nella Chiesa Maggiore», cioè in Matrice (Sampietro, op. cit., p. 333).
La prima abitazione consiste in un «soprano con volta a lamia di spicoli». A venirci in aiuto per comprendere la volta “a spigoli” o “leccese” è Gianni Custodero, che, avvalendosi di uno scritto del concittadino ing. Attoma, spiega: (essa) «è generata dalla intersezione di quattro semicilindri con una calotta sferica». Caratteristica primaria è «la funzione reciproca degli elementi; l'altezza della sala è uguale alla somma delle altezze dell'alcova e del mezzanino... Misurando con la “scola”, l'unità di superficie in uso nel Regno di Napoli prima del 21 luglio 1804, abbiamo che mentre la scala occupa una “scola” di superficie, complessivamente tutta la casa oscilla fra un minimo di 9 “scole” e un massimo di 11 (per le case “a cantone”)» (G. Custodero, op. cit., p. 15). L'abitazione di Potenza «tiene il suo ingresso dalla strada pubblica verso scirocco. Tiene parimenti il suo camino. In questa casa non vi è veruna sorte di soggezzione, peso o servitù. Confini: strada pubblica, che va alla cappella di S. Vito da scirocco; casa sottana di Marta Zazaro; casa soprana di Toma Amati da mare; casa delli coniugi Santo Adami e Rosa Vita Vinci da monti, altra casa di detto Rocco Potenza infradescritta (oggi del Monastero) da tramontana».
Nelle pagine successive segue la puntuale descrizione dell'altro immobile del Potenza, ubicato nel borgo «alla strada detta delle case nuove al vicinato del giardino del Signor Pietro Cito». Presenta le stesse caratteristiche strutturali del precedente. Confina con le abitazioni di Laurantonia Greco, Laurantonia Cofano, Francesco Fanizzi e con «la casa sopradescritta». Il monastero acquistò i due alloggi dal Potenza per un prezzo di 230 ducati, presi sempre dalla dote delle Carmelitane, «della qual somma il medesimo (Potenza, ndr) n'estinse docati novanta di capitale che il medesimo andava dovendo a questo venerabile monastero sin dalli 22 del mese di maggio dell'anno 1721..., come pure altri docati trenta di capitale, che il medesimo (riferito sempre al signor Potenza, ndr) andava dovendo ad Anna Maria Tuto; come anche si sborzarono docati cinquanta al maestro Giuseppe Donato Schiavone, a fine di fabricare una casa sottana e soprana nel terreno del signor Pietro Cito alla strada detta le case nuove, ed il restante docati sessanta se li ricevè di contanti, come da publico istromento stipolato per mano del notaio Carlo Galatola il 10 gennaio 1736».
Molto interessante l'affresco delle case fasanesi emergente dalle pagine del cabreo preso in esame. Intorno ad esse ruotano persone, vicende, luoghi, strade, denaro, decine. Freme, insomma, la vita della nostra comunità nel Settecento. Queste brevi note di ricerca, di cui alcune inedite, possono offrire al lettore curioso lo spunto per ulteriori approfondimenti e comparazioni tra l'urbanistica e la toponomastica di un tempo, e quella odierna.
di PALMINA CANNONE
Le foto:
1) Case allogate a ridosso della chiesa del Purgatorio, una delle quali, probabilmente, nel Settecento era la «casa sottana a travi» di cui si fa menzione nella Platea del Convento di San Giuseppe.
2) L'«arco del forno», ove era sita, secondo il cabreo delle “Donne Monache”,
la “casa sottana” di Angela Brescia. La strada, pur deturpata da un segnale stradale, conserva ancora l'antico topònimo.
3) L'antica chiesetta di Santa Maria dell'Arco, oggi Madonna della Grazia, nelle cui vicinanze iniziava una stradella chiusa ove sorgeva una «casa sottana a lamia, detta di Giacomo Salamini», di proprietà del monastero.
4) L'altare di San Vito, oggi in chiesa Matrice (entrando, a destra). Qui, secondo un'antica tradizione, venivano benedette le puerpere dopo il parto. Il quadro del Santo faceva parte di un'omonima cappelletta, ubicata, nel secolo XVIII, nel borgo. Nelle vicinanze di essa, il monastero delle claustrali possedeva due case “soprane” dette di Carlo Rocco Potenza. La cappella fu poi trasferita nella chiesa maggiore, come accadde per altre “cappellanie gentilizie” di famiglie fasanesi, le quali per un po' di tempo conservarono su di esse una specie di diritto “privilegiato”. (Foto Chicco Saponaro)
di Redazione
28/10/2015 alle 12:01:41
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