UNA SPECIALISTA PERORA LA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL MINARETO SILVANO
Don Damaso e il mal d’Oriente
da Osservatorio n. 3-2002
La villa moresca di Damaso Bianchi, alla Selva, tipica espressione del movimento culturale e artistico denominato “Orientalismo”.
L'Oriente ha sempre avuto un luogo privilegiato nell'immaginario comune del Sud: legame tessuto di trasmigrazioni di sogni spesso incompiuti, ma sempre grevi di un totale amore. Narra una seducente leggenda contadina che la Puglia fu generata dalla caduta di mille pietre dalle braccia dell'Arcangelo Gabriele, in volo dall'Oriente sulla regione, mentre si accingeva a portare altrove quelle rimaste dalla creazione del mondo. Colto dalla bellezza del luccichìo del mare e dall'incanto della vegetazione, egli, ammirato, aprì le braccia liberandole in un turbinio d'acqua, piume, brezze. Puglia antica, di roccia e di sassi, che si disvela allo sguardo del visitatore soprattutto grazie a segni architettonici simili a imbarcazioni costruite sulla sua terra per poter solcare il mare blu del Mediterraneo e il mare verde degli olivi. Tracce ben visibili da lontano, quasi a voler implementare la memoria d'attese e ritorni di cui il mare è il principale, bisbigliante complice. Ad alberi maestri di navi assomigliano, infatti, unici nell'intero panorama nazionale e proprio per questo particolarmente affascinanti, i minareti delle cosiddette “ville moresche” che costellano il sud della Puglia. Tra di esse, incanto nell'incanto, la prima ad apparire allo sguardo del turista che vi giunge dalla Terra di Bari è la villa costruita all'inizio del XX secolo sul punto più alto della Selva di Fasano, in maniera da essere ben visibile sia dal mare che dalla terraferma. Damaso Bianchi, straordinaria figura di pittore-viaggiatore correlabile alla scuola paesaggistica napoletana dei pittori della “scuola di Posillipo” e molto vicino al discorso pittorico del suo più noto coetaneo napoletano, Giuseppe Aprea, volle dare un segno del suo amore per l'Oriente progettando e edificando una dimora che potesse ricordare e ricordargli perennemente la sua esperienza di viaggio. Damaso Bianchi, come prima di lui Lamartine, Flaubert, Delacroix, Loti, Moreau, era stato infatti contagiato da quel “mal d'Oriente” a cui tanto devono l'arte e la letteratura del XIX e XX secolo. In seguito alla campagna napoleonica in Egitto, nasce infatti in Francia, all'inizio dell'800, l'«Orientalismo».
Grazie allo studio sul campo e al grandissimo sforzo documentale dei savants che Napoleone Bonaparte aveva condotto con sé in quel Paese con il preciso intento politico-culturale di sottomettere le popolazioni autoctone servendosi allo scopo delle loro stesse usanze, religione e lingua, la vague dell'Oriente era nuovamente tornata a diffondersi in Europa. Si trattava tuttavia non di un Oriente reale, ma di un Levante talmente infarcito di preconcetti da apparire falso sino a far esclamare a Théophile Gautier, reduce da un viaggio in quelle terre: «Per chi non è mai stato in Oriente il loto è un bellissimo fiore: per me è solo una cipolla!». Sarà tuttavia questo Oriente a far nascere capolavori artistici e letterari di freschezza e originalità senza pari.
La caduta dell'impero napoleonico e dell'imperatore definito da Victor Hugo nelle Odi Orientali il “Maometto d'Occidente”, non frenò tuttavia i viaggi in Oriente, che divenne sempre più una meta da scoprire culturalmente: non si deve dimenticare che proprio l'Egitto, la Mère Egypte, fu il soggetto del primo libro fotografico della cultura occidentale, scaturito dal Voyage en Orient di Maxime du Camp accompagnato dall'amico Gustave Flaubert. La cosa che colpiva maggiormente gli europei in Oriente era la luce, e questo topos della luce balenante tra le fiamme del rogo finale del romanzo Salammbô di Flaubert, nelle tele inondate di sole di Gérôme o di Belly, farà dire a Matisse, recluso durante la giornata in una camera d'albergo in Marocco per la luce troppo abbagliante che gli impediva di uscire: «La lumière m'est venue d'Orient!» (la luce mi è venuta dall'Oriente).
Questa luminosità, così simile a quella della Puglia, è la protagonista principale delle bellissime tele di paesaggio di Damaso Bianchi, che ritraggono la sua Fasano in una luce diffusa ma accecantemente ovattata come solo un viaggio nel Vicino Oriente può far percepire. Il “mal d'Oriente” di Damaso Bianchi tuttavia non si fermò alla pittura: la sua attrazione per l'esotismo lo spinse a progettare e costruire nel luogo a lui più caro, la Selva di Fasano, una splendida villa “orientale” i cui materiali fece pervenire direttamente dalla Tunisia e incastonò personalmente nella costruzione.
Questa splendida dimora, espressione concreta del movimento culturale e artistico denominato “Orientalismo”, non rappresenta tuttavia un gioiello solitario nel panorama pugliese: una vasta serie di “ville moresche” sorse in quel periodo nel Salento. Ricorda la dimora di Damaso Bianchi, ad esempio, Villa Sticchi a Santa Cesarea Terme. In un'altra regione, nei pressi di Firenze, una villa orientale ancor più antica delle ville pugliesi, il Castello di Sammezzano, per lungo tempo inabitata, ha ora ritrovato il suo splendore ed è divenuta luogo privilegiato di turismo culturale nella bassa Toscana, grazie anche all'utilizzo dei suoi saloni per cerimonie e congressi internazionali. Non si tratta di un'operazione di “restyling culturale”, ma di un'esigenza di tutela, valorizzazione e pieno uso di un capolavoro che, pur appannato dalle lugubri antenne televisive a esso sovrapposte, continua a brillare negli occhi e nel cuore di chi l'ha guardato, anche solo per una volta.
di MARIAGRAZIELLA BELLOLI*
*Mariagraziella Belloli, nata a Milano, è laureata in “Lingue, letterature e istituzioni dell'Europa occidentale” (sezione romanza) all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Scrive sulla rivista La porta d'Oriente, edita da Laterza e diretta dal prof. Franco Cardini, docente di storia medievale all'Università di Firenze. La prof. Belloli si occupa di orientalismo ed è ricercatrice dell'IRRE (già IRSAE) di Bari. È specializzata in storia dell'arte all'Università Federico II di Napoli.
Il Minareto è patrimonio della città
L'Associazione Pro Selva, con caparbietà, intende continuare la battaglia intrapresa da anni per il recupero, la tutela e la valorizzazione del “Minareto”. In passato, il sodalizio ha avuto vari contatti con autorità locali, provinciali e regionali, inviando altresì all'assessorato regionale al turismo un dettagliato progetto di pulizia del parco esterno, con sistemazione dei muretti, per potervi organizzare incontri e attività sociali all'aperto nel periodo estivo. Nessun riscontro, però, alle tante richieste. Oggi la Pro Selva, tramite Osservatorio, lancia un ulteriore appello acché la struttura del Minareto possa tornare al suo antico splendore e diventare luogo privilegiato di turismo, nonché centro polivalente di attività culturali e ricreative. Il nostro giornale sposa in pieno le istanze della Pro Selva, affinché la villa di Don Damaso sia riportata alla fruizione dei cittadini fasanesi, suoi legittimi “eredi”.
di Redazione
28/10/2015 alle 11:55:36
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