CENTENARIO DELLA MORTE DI LUDOVICO PEPE
Precursore degli studi egnatini
Da Osservatorio n. 12-2001
Ludovico Pepe nel ritratto a olio eseguito dal pittore Luigi Pappadà.
Un secolo fa, il 21 novembre 1901, moriva in Monopoli lo storico Ludovico Pepe, autore della prima biografia dedicata a Ignazio Ciaia e del primo libro sul sito archeologico di Egnazia. Il Pepe era nato a Ostuni nel 1853, ma era fasanese per parte di padre. In occasione del centenario, la “Città Bianca” ne ha onorato la memoria con lo scoprimento di una lapide (22 novembre) e con un convegno svoltosi il 23 nella Biblioteca Comunale “Trinchera”. Due le tematiche affrontate: Ludovico Pepe, storico della società pugliese e Ludovico Pepe, editore di documenti. Tra i numerosi e qualificati relatori (Raffaele Licinio, Cosimo Damiano Poso, Francesco Moro, Donato Valli, Angelo Massafra, Franco Magistrale, Anna Stella Caprino, Luigi Greco, Maria Antonietta Moro, Cosimo Damiano Fonseca) c'era anche il nostro Angelo Sante Trisciuzzi, direttore della Biblioteca Comunale “Ciaia”, chiamato a illustrare le opere “fasanesi” di Ludovico Pepe. Per sua gentile concessione, ne pubblichiamo integralmente l'intervento.
Sono qui per offrire un modesto contributo di riconoscenza a un uomo, a uno studioso, a un grande storico che tanto ha dato anche alla mia città, Fasano. Ludovico Pepe non poteva non scrivere anche di Fasano. Egli era di origini fasanesi: il padre Francesco Pepe era nato a Fasano e si era trasferito a Ostuni a seguito del matrimonio con Massimina Lofino. L'opera del Pepe è rivolta essenzialmente a Ostuni, ma anche a Fasano per motivi di affetto, come dice Pierfausto Palumbo, perché luogo d'origine del ramo paterno della famiglia e di frequenti ritorni nell'infanzia e nella prima giovinezza. Sono ben noti due volumi che trattano di Fasano: il primo, che è anche il suo primo libro pubblicato, è Notizie storiche ed archeologiche dell'antica Gnathia, del 1882, stampato dalla tipografia Tamborrino di Ostuni; il secondo è Ignazio Ciaia martire del 1799 e le sue poesie, del 1889, stampato da Vecchi di Trani.
Pierfausto Palumbo, parlando del volume su Egnazia, ci dice che esso è «la dimostrazione di come un autodidatta con scarsissimi sussidi eruditi, ma con un profondo amore, potesse, intorno al tema di una città scomparsa, raccogliere e collegare tanta messe di conoscenze, vagliandole col solo aiuto del proprio naturale ingegno» (cfr. P. Palumbo, Pietro Vincenti, Francesco Trinchera seniore, Ludovico Pepe: tre illustri ostunesi del passato, Lecce, 1981, p. 173). E sempre Palumbo ci fa conoscere un dato poco noto, e cioè che la data 1882 sul frontespizio non è esatta. È più giusto parlare del 1883, e dice: «Il libro era già finito di stampare nell'82: furono le difficoltà per le tavole, commissionate a Lecce, a provocare il ritardo dell'uscita e le ultime ansie dell'autore».
Per questo lavoro, che successivamente fu base per i primi scavi sistematici fatti a Egnazia, Fasano deve molto a Ludovico Pepe; d'altronde nell'introduzione lo stesso Pepe dice: «Non scriviamo la Storia di Gnathia; storia a noi non trasmisero gli storici e i geografi antichi; storia non rimane negli archivi e nella tradizione: noi scriviamo semplicemente il primo libro che porti in fronte il nome di Gnathia». Sempre nell'introduzione Pepe ci dà un assaggio anche della sua vis polemica: «La storia di Gnathia è nei monumenti che ancor la terra racchiude. Ricerchiamoli questi monumenti, interroghiamoli, e al posto delle congetture porremo la Storia. Questo lavoro di sostituzione non può essere reso possibile che per opera dei Governi: i privati non possono fare (e ne han fatta fin troppo) che opera di distruzione: e i Governi l'hanno permessa, e la permettono ancora! Permettere la devastazione delle rovine più importanti delle nostre province, permettere la profanazione di tombe... che danno le più belle terrecotte e i più numerosi vasi dipinti... E finché quest'era fortunata di nuovi scavi non sarà venuta, il primo libro che parla di Gnathia riman quindi un povero libro... Di vantaggio col nostro libro abbiamo mirato a porci al sicuro dall'accusa di esser riusciti incompleti, mentre, cogli scarsi mezzi di cui è possibile qui disporre, dopo i libri, abbiamo interrogato i luoghi... Ma rimane, dopo tutto, un povero libro? Dategli lo scopo di affrettare coi voti l'era dei nuovi scavi per Gnathia, e gli darete vanto di utile libro» (cfr. L. Pepe, Notizie storiche ed archeologiche dell'antica Gnathia, Ostuni, 1882, rist. anast. Schena, Fasano, 1980, p. IX).
E il suo dire fu verità: dal suo libro partì la volontà di effettuare scavi sistematici che ancor oggi continuano e danno risultati sorprendenti. Carlo Villani, nella sua monumentale opera Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei (Trani, 1904), parlando del volume di Pepe dice che «l'opera fu molto apprezzata dagli studiosi e venne premiata dal Ministero della P.I. e tenuta in pregio non poco da Ruggero Bonghi» (ivi, p. 768). Un'opera che era stata resa ancor più pregevole dalla realizzazione di 4 tavole che riproducevano, tra l'altro, il grande muro sul mare, la pianta della città e 13 iscrizioni inedite.
Fasano, dicevo, deve molto al Pepe per il lavoro su Egnazia, e ancor più gli deve per il lavoro su Ignazio Ciaia. Nel primo centenario della morte del martire della “Rivoluzione Napoletana”, Ludovico Pepe scrisse la sua biografia con dovizia di particolari e con l'amore di un conterraneo. La ricerca era stata chiesta da una commissione formata dai signori: dott. Ottavio Guarini fu Achille (presidente), avv. Annibale Pepe, avv. Giovanni Guarini, avv. Francesco Bari, avv. Giuseppe Guarini, dott. Bartolomeo Guarini, prof. Leonardo Cofano, prof. Leonardo De Mola, avv. Michele Pepe. E nella pagina di introduzione al volume così si legge: «Il Circolo Ciaia di Fasano, ad onorare degnamente la memoria di quel grande concittadino che fu Ignazio Ciaia, nel primo centenario del suo martirio, veniva nella determinazione di compilare un volume, in cui fossero raccolti documenti, notizie e pensieri diretti ad illustrare il poeta, il cospiratore e il martire della rivoluzione del 1799. Nominata una Commissione con l'incarico di tale compilazione, essa in principio credé di rivolgersi a Municipii e a privati con una circolare a stampa per ottenere ciò che poteva far raggiungere lo scopo. Molti risposero all'appello; ma più con parole che con fatti. E allora la Commissione, anche per dare al libro una unità che non si sarebbe avuta ove il libro fosse stato il risultato dell'opera di molti, si rivolse al chiarissimo prof. Ludovico Pepe, il quale accettò l'incarico di compilare una biografia e curare la nuova raccolta delle poesie del Ciaia. E il libro resti come un cospicuo attestato di venerazione e affetto al grande che perì sul patibolo per un alto ideale, e al quale Fasano sente l'onore di aver dato i natali. La Commissione, nel licenziare al pubblico il lavoro del prof. Pepe, sente il dovere di porgergli sentiti ringraziamenti, a nome del Circolo Ciaia, per l'opera intelligente e cortesemente prestata. Fasano, ottobre 1899».
Con quest'opera Pepe rievocò la figura del cittadino Ciaia e gli episodi cruenti del 1799 che univano Fasano e Ostuni, non solo perché città vicine. Il collegamento veniva soprattutto dal fatto che il Ciaia, membro del Consiglio Provvisorio del Governo, e poi Presidente della Repubblica, aveva voluto l'avv. Giuseppe Ayroldi, anche lui martire, come rappresentante della Repubblica Napoletana a Ostuni.
Ludovico Pepe, comunque, non aveva scritto solo queste due opere che interessano Fasano. Ne esiste una terza che, in ordine cronologico, è invece la prima. È un volumetto di 52 pagine abbastanza raro, scritto da Ludovico Pepe e Cosimo De Giorgi, e pubblicato quasi certamente nel 1880: non è nota la data, né il luogo di stampa. Il motivo lo si deduce da una avvertenza riportata in prima pagina che dice: «Questa pubblicazione era destinata per uno dei periodici di questa provincia (forse il suo giornale che si intitolava L'Osservatorio Ostunese, giornale di forti propositi e che discute gli interessi provinciali senza altro fine). Non ha potuto venire accolta in quelle colonne per non frazionarla in molti numeri. Nondimeno la narrazione conserva la sua indole popolare, e non ha la pretensione di essere una monografia scientifica, nemmeno una contribuzione».
Il volume si intitola Da Salamina ad Egnazia. Sabbie vetrarie presso Fasano. È diviso in due parti perché i contributi dei due autori sono separati. La seconda parte è di Cosimo De Giorgi, dal titolo “Sabbie vetrarie presso Fasano”. De Giorgi era un naturalista nato a Lizzanello e, secondo il prof. Cosimo Bertacchi, era il più bravo e attivo tra gli studiosi della geologia e geografia fisica della Puglia. Era docente nel Liceo di Lecce e aveva fondato un osservatorio meteorologico. Inoltre, su incarico del Comitato geologico italiano, aveva studiato vari siti in Puglia e Basilicata. Fu autore di numerosissimi scritti scientifici, tra i quali è da ricordare La carta geologica della Provincia di Lecce. Nell'autunno del 1879 il prof. De Giorgi, insieme ad alcuni amici ostunesi, venne a Fasano, in contrada Salamina, per verificare le condizioni di una cava dalla quale si estraeva sabbia quarzosa. «Il giacimento - scrive De Giorgi - resta sotto i monti di Fasano a poca distanza da questa città. Non fu quindi un viaggio di scoperta ma di semplice riconoscimento. La scoperta data già da un pezzo e la cava di Salamina ha la sua storia che mi fu narrata dall'egregio chimico e farmacista di Fasano sig. Giuseppe Pepe». Il De Giorgi parla di scoperta che, in verità, era avvenuta anni prima, verso il 1868, quando in un fondo coltivato a viti e fichi del sig. Achille Goffredi, situato nella contrada Salamina, nello scavare alcune fosse, venne fuori sotto lo strato coltivabile una sabbia lucente, di colore bianco, che rendeva lucido il ferro a seguito di un piccolo strofinamento. Furono fatte alcune analisi chimiche e risultò che quella sabbia era quarzosa e poteva essere usata nell'industria. Dopo pochi anni venne costruita a Carbonara un'officina per la fabbricazione del vetro; il proprietario chiamò dei vetrai da Murano mentre la sabbia quarzosa, elemento indispensabile per la fabbricazione del vetro, arrivava dall'Ungheria. In Puglia era molto affermata la produzione delle ceramiche per l'abbondanza della materia prima, mentre mancava quasi del tutto l'industria vetraria per mancanza di sabbie quarzose. La notizia che un tale giacimento esisteva presso Fasano illuminò le idee dell'imprenditore, che sperava in una buona qualità dei materiali locali e in un forte risparmio economico: invece che dall'Ungheria la sabbia sarebbe arrivata a Carbonara da Salamina. Le analisi dettero risultati soddisfacenti e a Carbonara venne iniziata la produzione di bottiglie, bicchieri, lumi a petrolio, damigiane con vetri limpidi, tutti prodotti con la sabbia di Salamina. Dal saggio del prof. De Giorgi apprendiamo inoltre che l'industria di Carbonara non andò a buon fine, ma non per colpa delle sabbie vetrarie di Salamina, le quali vennero abbandonate dal punto di vista della produzione ma continuarono ad avere un interesse scientifico notevole, che ben giustificava la visita e lo studio approfondito da parte di uno studioso del calibro del De Giorgi.
La prima parte del volume è stata scritta invece da Ludovico Pepe, che racconta il viaggio da Salamina a Egnazia. Dodici paginette scritte con taglio giornalistico, un po' ironiche, e che ci presentano un Pepe brioso, allegro, quasi canzonatorio: all'epoca Ludovico aveva 26 anni! Vi leggo un piccolo dialogo avuto con un contadino che accompagnava gli autori in questo strano viaggio:
«“Che cosa vogliono farne di questa polvere?” mi domandò il contadino con tanto di bocca aperta. “Eh!... la si vuole osservare”. “E di quelle pietre?”. “Le si devono studiare”. “O che studii?”. “Molti: si studia una pietra come un libro, e spesso su di una pietra si legge meglio che in un libro”. Il povero contadino non ne sapea più di prima; si piegò a zappare sospirando tristemente: volea dire: Dio mio, quanto son mai asino io, se altri legge sulle pietre, quand'io non so leggere sui libri!».
Dopo l'escursione a Salamina e un frugale pasto, il Pepe ci racconta del viaggio in una antica città, Egnazia, come se si andasse in visita a una città fantasma: si andava con una vettura ma il cavallo dopo poco andò adagio attraverso un sentiero che non era fatto per le corse. Ad un tratto la voce di un contadino: «“Dove andate voi? Quella via non ha uscita”. “Noi andiamo a Egnazia” gli dicemmo quando, lasciato il veicolo, ci avvicinammo a lui. Non rispose. “Noi andiamo a Egnazia”. Si strinse nelle spalle, e niente altro. “Che tu non sappia dove è Egnazia?”. “Non lo so, 'gnornò!”. Tra lo stupore de' miei compagni, non iniziati al dialetto fasanese, domandai improvvisamente: “E Anazzo, dimmi, lo conosci?”. “Anazzo? Quello sì, sissignore”. “E per dove dobbiamo andare noi?”. “Eh!... non più per quella vostra via; pigliate per di qua, attraversate questa possessione, e poi... poi sarete ad Anazzo”».
Il Pepe continua a raccontare la visita, insieme ai compagni di viaggio, per Egnazia, e non manca di puntualizzare l'origine del nome Egnazia, Egnatia, Gnathia, origine che poi affronterà con maggiori particolari nel suo volume sull'antica città distrutta; probabilmente proprio questo viaggio, e qualche altro simile a questo, lo sollecitò a scrivere di quel sito archeologico che oggi è il più grande di Puglia.
Questo volumetto è significativo anche per un altro motivo: Ludovico Pepe lo scrive insieme a Cosimo De Giorgi, conosciuto proprio in occasione della visita a Salamina, e col quale stringerà un forte sodalizio. Non a caso la lunga introduzione al volume La storia di Ostuni dalle origini al 1806 fu scritta proprio dal De Giorgi.
Quasi a conclusione della prefazione, il De Giorgi dice: «Non l'amicizia che mi lega all'Autore di questo libro, non la sincera ammirazione che io nutro per questo giovane modesto e pieno di buon volere, mi hanno indotto a scriver queste poche e disadorne parole come prefazione, ma l'affetto che sento per la mia provincia e per tutti coloro che la illustrano, specie per i giovani, i quali applicano a questi studi storici i metodi severi della critica moderna». Anch'io, come il De Giorgi, provo ammirazione per chi ben illustra la nostra terra. E come potevo non testimoniarla, anche dopo più d'un secolo, per un autore che molto ha fatto per la mia terra, la quale grazie a lui può ricordare parte della sua storia?
di ANGELO SANTE TRISCIUZZI
di Redazione
26/08/2015 alle 09:30:09
Leggi anche:
Macelleria Peppino De Leonardis
Carni e prodotti freschi e alla brace
La storica macelleria De Leonardis con fornello pronto tutte le sere