PARTì DA FASANO L’AVVENTURA DELLA RINOMATA AZIENDA SALENTINA
Cavalieri, la tradizione della pasta
da osservatorio n. 3- 2001
Il marchio del pastificio fondato a Maglie nel 1918 dal fasanese Benedetto Cavalieri (1879-1968), trasferitosi nel Salento sulle orme dello zio Giuseppe (1849-1915).
Non è la prima volta che capita di apprendere dalla grande stampa di successi conseguiti da alcuni nostri concittadini nei diversi campi in Italia e all'estero, e crediamo che non sarà l'ultima, quasi a conferma dell'antico detto nemo propheta in patria. Già alcuni anni fa, su questo mensile, ci occupammo del caso del fasanese Camillo Donati, creatore e organizzatore della prima fabbrica Fiat in Cina, insignito della più alta onorificenza da parte di quel governo e divenuto anche un personaggio popolare a causa degli spot televisivi che egli stesso fa per i prodotti di questa fabbrica, nonché autorevole fonte di riferimento e consultazione per molti osservatori e studiosi occidentali del pianeta Cina.
Ora è la volta di un ormai celebre fabbricante di pasta. Scorrendo infatti l'inserto barese del quotidiano La Repubblica del 21 dicembre scorso, giunti alle pagine dedicate alle feste natalizie e al “meglio dei sapori di Puglia”, abbiamo visto con piacevole sorpresa citato a caratteri di rilievo il nome di Benedetto Cavalieri e della sua pasta, «la cui fama - leggiamo - ha da tempo superato i confini dello stivale ed è approdata sulle tavole dei più esigenti gourmet del mondo».
Ma chi era questo Benedetto Cavalieri che ha dato il suo nome a questa pasta segnalata perfino dal Wine Spectator, la più prestigiosa rivista enogastronomica americana?
Un nome quasi ignoto ai fasanesi delle ultime generazioni, ma che alcuni di noi ricordano molto bene. Trattasi infatti dello zio materno dei fratelli Michele e Lorenzo Brunetti, che già cinquant'anni or sono ci parlavano spesso di lui e della sua fiorente attività avviata nel Salento, a Maglie.
Era nato a Fasano il 1879 ed era figlio di Andrea Cavalieri e Angela Costantini, terzo di cinque figli (due maschi e tre femmine) fra cui suo fratello don Lorenzo (1877-1909), un sacerdote molto stimato dal vescovo e dai fedeli, morto ancora giovane. Il padre faceva il pizzicagnolo e il resto della famiglia paterna e materna era legato al mondo dell'agricoltura e dell'edilizia.
Siamo a cavallo del secolo: Benedetto era ormai un giovane di vent'anni, molto dotato, carattere volitivo, deciso a costruirsi un proprio avvenire. Un giovane a cui sicuramente il paese stava un po' stretto, così come a molti altri giovani fasanesi che avevano scelto la via dell'emigrazione nel Nord America. E, a dir la verità, anche Benedetto aveva fatto un pensierino all'America ed era quasi deciso a partire, ma suo padre Andrea e la famiglia, molto legati a questo figlio, non si rassegnavano a vederlo allontanarsi forse per sempre. A risolvere il problema, con piena soddisfazione dei genitori, ci pensò lo zio Giuseppe Cavalieri (1849-1915), fratello del padre che, trasferitosi già 30 anni prima (1870) a Maglie, nel Salento, aveva avviato una proficua e interessante attività suscettibile di ulteriori sviluppi, e, poiché non aveva figli, propose al nipote di raggiungerlo per collaborare con lui. Cosa che Benedetto fece nei primi anni del secolo.
Giuseppe Cavalieri, sposato con Angela Caputo di Locorotondo, era un uomo molto intelligente e pieno di iniziativa, nella migliore tradizione dell'artigianato fasanese, con molta esperienza nel campo dell'edilizia e anche in quello della molitoria, e la sua scelta di trasferirsi nel Salento non deve sorprenderci. Occorre infatti ricordare che, in quegli anni a cavallo del secolo, molti nostri concittadini, in particolare artigiani del ferro e del legno, anziché scegliere la via dell'emigrazione in America, preferirono trasferirsi nel Brindisino, nel Tarantino e anche a Lecce, dove riuscirono a inserirsi grazie alla loro capacità e all'alta qualità del loro lavoro. In particolare, il Salento era una regione ancora tutta da scoprire e dalle enormi potenzialità, ma carente in fatto di organizzazione produttiva e di tecnica artigianale. E su questo giornale già qualche anno fa abbiamo avuto modo di ricordare la notorietà che si era conquistata in quelle terre il nostro Bernardino Galizia, rinomato costruttore di frantoi oleari. Quanto mai saggia e felice, quindi, si rivelò la decisione del Cavalieri di aprire con i suoi risparmi proprio a Maglie, al centro del Salento, un negozio di ferramenta, come ci viene ricordato a suo merito dal noto storico magliese Emilio Panarese. E non è certo difficile cogliere il valore che poteva assumere questa iniziativa, vista da lui sicuramente come strumento di penetrazione e promozione nel mondo dell'agricoltura e dell'artigianato. Chi scrive pensa per esempio all'importanza che ebbe per noi nei lontani anni Venti e Trenta il negozio di ferramenta dei fratelli Argese sotto il palazzo dell'avvocato Pezzolla, una vera istituzione per i fasanesi, dove potevi comprare di tutto, dalla varia utensileria alle note di spedizioni ferroviarie. Gli Argese, oltre al negozio, svolgevano anche una notevole attività commerciale, dall'olio alla verdura, cosa che avvenne anche per il nostro Cavalieri, che già nel 1872 incominciò a commerciare nel grano duro.
Ma il fiore all'occhiello della sua attività fu la profonda conoscenza tecnica della molitura del grano duro, che presentava non pochi problemi rispetto al grano tenero e che avveniva a freddo, mediante l'uso di macine di pietra speciale opportunamente lavorata. Non facile era la ricerca della pietra adatta, e lo stesso suo scalpellinaggio con martelline e bocciarde, per regolarne la superficie, richiedeva mano d'opera molto qualificata. E in questo il Cavalieri era davvero un maestro, che spesso, non contento della pietra locale, la faceva arrivare grezza perfino dalla Francia, per farla lavorare secondo le sue indicazioni. Tutto questo gli procurò vasta notorietà non solo presso i molini del Salento, ma anche in altri del Nord, con i quali, come abbiamo accennato, aveva intanto allacciato intensi rapporti commerciali, fornendoli di grano duro pugliese in cambio di semola prodotta secondo le sue istruzioni e che rivendeva ai tanti pastifici di Puglia. Certo, questa sua quasi familiarità con il grano duro veniva da molto lontano, dalle tradizioni della sua famiglia di agricoltori che lo coltivavano sulle precolline e sulle colline, una tradizione che è durata fino all'ultimo dopoguerra, come ricordiamo noi stessi che da giovani sentivamo spesso i contadini di Locorotondo, di Laureto e della Selva discutere della varietà “Cappelli”, che era il re dei grani duri italiani.
Così trascorsero i primi 30 anni a Maglie per Giuseppe Cavalieri, sempre più immerso nel commercio del grano duro, fino alle soglie del nuovo secolo, guadagnandosi la stima e il rispetto del suo nuovo paese di adozione, a cui non mancò di dedicare opere di varia beneficenza, come ci ricorda il citato storico Panarese.
Il vecchio negozio di ferramenta era ormai un lontano ricordo e la nuova realtà era la sua valida azienda commerciale. Un'azienda che conobbe, nei primi anni del nuovo secolo, una svolta di maggiore dinamismo e sviluppo con l'arrivo di suo nipote Benedetto, che portò, oltre alla carica di giovanile entusiasmo, quelle indubbie qualità che già prefiguravano il futuro e capace imprenditore: una sicura intelligenza che gli permetteva di arrivare subito al nocciolo dei problemi, concretezza, impegno, audace apertura verso il nuovo e capacità di vedere lontano. Egli non tardò ad intuire che il commercio del grano duro non poteva limitarsi all'ambito nazionale, in considerazione della deficitaria nostra produzione rispetto ai consumi, e che occorreva allargare lo sguardo agli scambi con altri paesi produttori, quali il Canada, gli Stati Uniti e la Russia. E a proposito di Russia, Benedetto Cavalieri aveva in grande considerazione, per la sua qualità, il grano duro prodotto nella regione di Taganrov, sul mare d'Azof, un porto con cui ben presto furono da lui attivati intensi traffici commerciali con porti di Gallipoli e Otranto, dove il grano veniva sbarcato da navi a cui egli stesso assicurava carichi di ritorno. Furono dunque anni di intenso lavoro, quelli che precedettero la prima guerra mondiale, per il giovane Cavalieri, che intanto si era felicemente sposato con la salentina Vincenza De Prezzo, un matrimonio allietato dalla nascita di sei figli. Certo, ora il vecchio zio Giuseppe poteva essere ben soddisfatto di aver affidato in buone mani la sua vecchia azienda commerciale, ma prima di morire (1915) fece ancora in tempo a vedere il passo decisivo che l'affezionato nipote compì, sicuramente da lui incoraggiato e destinato a dare una nuova impronta alla stessa azienda quale oggi la conosciamo.
Vi era a Maglie un vecchio e obsoleto molino e pastificio napoletano di cui i proprietari volevano disfarsi, e Benedetto non ebbe dubbi nel rilevarlo, impegnandosi poi in un radicale rinnovamento e ammodernamento degli impianti, ritardato un po' dalla “grande guerra” e dai suoi obblighi militari. E finalmente, nel 1918, col patrimonio di esperienze ereditato dallo zio nella molitura del grano duro, poté inaugurare il “Molino e Pastificio Benedetto Cavalieri” (sigla rimasta invariata nel tempo), progettato espressamente per produrre pasta di qualità con il grano duro fino e selezionato delle soleggiate colline di Puglia, Lucania e altre terre lontane. Dunque, «pasta di prima qualità firmata con nome e cognome»: questa fu la linea a cui si attenne sempre scrupolosamente e che ha continuato ad ispirare i suoi successori.
Ma gli oltre vent'anni intercorsi fra le due guerre videro Benedetto Cavalieri impegnato anche in altre e molteplici attività, oltre a quelle del pastificio. Fra queste spicca l'accordo con la multinazionale Esso, che comportò un intenso traffico di prodotti derivati dal petrolio da Genova verso la penisola salentina, dove furono da lui installate le prime colonnine di benzina. In questo lavoro concentrato su Genova gli fu di valido aiuto il giovane figlio Andrea, iscritto alla Università ligure.
L'ultimo conflitto segnò una lunga pausa nell'attività dell'azienda Cavalieri: bloccati i traffici, istituiti gli ammassi obbligatori di grano, cereali e altri beni di largo consumo, razionamento, tessere annonarie, tutte cose che i più anziani ricordano molto bene. Cinque anni interminabili di restrizioni, immaginiamo con quale disappunto di don Benedetto, il cui molino e pastificio continuò a lavorare per conto dello Stato su uno standard di qualità sicuramente inusuale per lui. Ma tant'è! Erano tempi di emergenza e la pasta, il pane, lo zucchero, come ricordiamo, erano anche... d'emergenza, e cambiavano... colore ogni settimana in base ai vari riempitivi! Ma la fine del conflitto trovò pronta l'azienda alla ripresa con impianti ancora una volta rinnovati, e ora tutta l'attività si concentrò in questo settore. Arrivò anche il tempo per don Benedetto di concedersi il meritato riposo e dare spazio alla terza generazione, cioè a suo figlio Andrea, che, come abbiamo visto, gli era già stato di valido aiuto e a cui non mancò di far sentire ancora per molti anni la sua presenza prima della sua scomparsa (1968).
La linea del pastificio anche con Andrea rimase quella di suo padre, e quella scelta irreversibile della qualità rispetto alla quantità doveva nel futuro riuscire vincente, anche alla luce dei grandi mutamenti che sono avvenuti negli ultimi 40-50 anni nell'industria della pasta, dove è andato sempre più imponendosi un processo di ristrutturazione anche selvaggia, concentrazione e ricomposizione del quadro industriale a scapito dei numerosi piccoli fabbricanti, e che si può riassumere in poche cifre: nell'anteguerra vi erano in Italia più di 1.600 pastifici, nel 1954 erano 1.333, nel 1971 scendevano a 398 e nel 1996 si riducevano a 153. Un processo che ha portato alla sparizione del 90% delle imprese e che ha coinvolto tutte le regioni italiane, in particolare quelle del Sud, rappresentate da piccole aziende familiari incapaci di far fronte a giganteschi investimenti per il rinnovo degli impianti. In Puglia vi erano oltre 120 pastifici, ridotti oggi a 11, e non dimentichiamo che a Fasano, nei primi del secolo scorso, si contavano 4 pastifici. Questo era il quadro, e i Cavalieri furono ancora più convinti che la linea scelta era quella giusta, l'unica per sopravvivere. Una linea che ci viene riconfermata oggi dal dott. Benedetto Cavalieri, succeduto al padre Andrea nella guida dell'azienda, nel corso di una cordiale conversazione: «Appartengo alla quarta generazione dei Cavalieri, e la tradizione di famiglia continua. La pasta è prodotta ancor oggi con miscele di semole di grani duri selezionati e nello stesso stabilimento inaugurato nel 1918 da mio nonno, opportunamente ristrutturato per mantenere puntigliosamente lo stesso metodo originale. Metodo che si basa sulla prolungata impastatura, sulla lenta gramolatura, pressatura e trafilatura, e sull'essiccazione a bassa temperatura. A tutto ciò si aggiungono le mille cure e attenzioni quotidiane per custodire il sapore tipico, assicurare una consistenza assolutamente naturale e garantire la completa conservazione dei preziosi valori nutritivi del buon grano duro. La mia squadra e io siamo orgogliosi. Sappiamo di andare controcorrente ma abbiamo un costante incremento nelle vendite, anche in paesi lontani, dovunque la qualità è apprezzata. Ed ecco perché, giorno dopo giorno, trasmettiamo l'idea del fondatore alla quinta generazione che continuerà».
Ascoltando le parole del nipote che porta il suo stesso nome, abbiamo avuto netta la sensazione del legame profondo che continua ad esistere fra l'azienda e il suo fondatore, un legame che si può cogliere in tante cose, in particolare in quell'impronta di serietà e sobrietà connaturata al suo carattere di uomo schivo e semplice, che, come ricorda ancora suo nipote, amava ascoltare in silenzio gli interlocutori guardandoli con occhio penetrante.
Benedetto Cavalieri era anche un uomo molto religioso: ne fanno fede la chiesa di S. Francesco costruita accanto al suo palazzo e il motto ora et labora bene in vista sulle sue lettere di corrispondenza, quasi a riprova che vi può essere un'etica anche negli affari.
Così il suo molino e pastificio diventò una vera istituzione per i magliesi, e quella dei Cavalieri entrò nel novero delle famiglie storiche del paese, che volle intitolar loro due strade (via Giuseppe Cavalieri e via Benedetto Cavalieri).
L'amico Lorenzo Brunetti, nipote di don Benedetto, ci ha raccontato l'emozione di suo figlio, studente di architettura a Firenze, che un giorno, nel corso di ricerche sul barocco leccese all'Istituto Germanico di Storia dell'Arte, si imbattè in un volume dedicato a Maglie e, incuriosito e spinto dai ricordi familiari, sfogliandolo trovò il nome della famiglia Cavalieri di cui l'autore (Emilio Panarese) tracciava un lusinghiero profilo anche per le numerose opere di beneficenza dedicate alla stessa città. Indubbiamente una bella soddisfazione!
P.S. - Incuriositi da tanta fama, abbiamo voluto assaggiare questa pasta e assicuriamo i lettori che è sicuramente di un altro pianeta, e che la sua celebrità è ampiamente meritata. Complimenti e auguri, dottor Cavalieri, a lei e alla quinta generazione.
Riferimento bibliografico: Emilio Panarese, Maglie, Congedo Editore.
di MARZIO PERRINI
di Redazione
24/06/2015 alle 12:38:57
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