LA MORTE DEL CARROZZIERE LEONARDO LATORRE
Ciao ‘Giolitti’, mago della lamiera
da Osservatorio n. 2 - febbraio 2001
Leonardo Latorre
Al tempo in cui le macchine sostituirono cavalli e carrozze, scomparvero anche tanti antichi mestieri: i maestri costruttori di traini e “sciarrette”, i birocciai, i maniscalchi, i sellai, i locandieri, e tanti altri legati a quel mondo. Si avviò così tutto un processo di trasformazione e riconversione nel lavoro e, con l'automobile, arrivarono anche i nuovi mestieri: i meccanici, gli autisti, i gommisti, i benzinai, i carrozzieri. Ma, col tempo, cavalli e carrozze si presero pure una rivincita storico-linguistica, prestando al mondo dell'auto due parole chiave e fondamentali come “cavalli” e “carrozzeria”, esprimendo l'una la potenza del motore e l'altra tutta la sovrastruttura che poggia sul telaio, compreso l'abitacolo.
Anche nel settore della carrozzeria, Fasano, così com'era avvenuto nella meccanica e nella motorizzazione, precorse i tempi rispetto a tanti altri paesi della provincia e della regione, grazie a pochi uomini provenienti dal fiorente artigianato locale che, intravedendo le prospettive di un lavoro tutto da reinventare e strettamente legato all'avvento dell'automobile, seppero tempestivamente organizzarlo anche tecnicamente, rivelando notevoli capacità di adattamento e grande professionalità.
Un pioniere in questo campo fu sicuramente Tommaso Caramia, l'impareggiabile costruttore di carrozze e carri (v. P. Cannone, Com'era bello andar sulla carrozzella, in Osservatorio n. 9-1996), che nel 1928, quasi a voler cimentarsi in una nuova esperienza, aprì un apposito laboratorio dove incominciò a costruire le prime carrozzerie strutturate in legno su telaio per automobile e in particolare per gli autobus. Né questa iniziativa indubbiamente audace ci deve sorprendere, poiché le prime generazioni di automobili fino all'ultimo dopoguerra avevano le loro carrozzerie costruite interamente in legno molto forte e stagionato. Ricordiamo ancora il primo modello della popolare “Giardinetta” Fiat nei primi anni '50 ancora tutta in legno, seguito poi da quelli in lamiere d'acciaio... E per un maestro come il Caramia, dall'ingegno versatile, che dal legno aveva saputo creare quelle carrozze snelle ed eleganti che gli avevano dato fama, non dovette essere difficile affrontare la nuova sfida. Fu un'esperienza breve, la sua, cessata dopo cinque anni quando ritornò alle amate carrozze, ma che diede lustro e notorietà al nostro paese e ancor maggiore prestigio al nostro artigianato nell'intera regione.
Intanto qualcosa era cominciato lentamente a cambiare anche in Italia nel mondo dell'automobile e nella sua organizzazione produttiva, dove non tardò a soffiare il vento americano del fordismo e taylorismo: arrivarono le catene di montaggio e anche la carrozzeria dovette rinnovarsi. Le lamiere d'acciaio occuparono sempre più spazio del legno e l'ultima novità americana furono le lamiere stampate in leghe più leggere. Tutte cose di cui potè rendersi conto un altro valido artigiano fasanese, Francesco Sardella (1901-1982), in un'esperienza di alcuni anni passati in una grande carrozzeria di Como. Tornato a Fasano, egli aprì nel 1926 una prima carrozzeria in via Musco (lato discesa cimitero) e quindi nei primi anni Trenta in via Roma, sotto il palazzo Russi, dove è rimasto a lavorare fino al 1956. La sua è stata quindi la prima carrozzeria intesa come officina che crea, ripara, trasforma, ricostruisce tutte le sovrastrutture dell'autoveicolo. A lui si devono i primi esperimenti di carrozzeria in lamiera montata su profilati metallici e l'avvio del settore della trasformazione degli autoveicoli, che avrebbe conosciuto un fortunato sviluppo nei primi anni del dopoguerra. Ed è davvero singolare il fatto di ritrovare in questa officina due giovani allievi di sicuro talento come Leonardo Latorre e Marco Savoia (1915-1993), che insieme avevano già fatto il loro apprendistato sotto il maestro Caramia e che nel dopoguerra diventeranno, insieme allo stesso Sardella, i più noti carrozzieri di Fasano.
Purtroppo ci spiace che l'occasione per questa breve carrellata nella storia dei nostri carrozzieri venga offerta dalla improvvisa e recente scomparsa di Leonardo Latorre (classe 1914), per noi tutti “Giolitti”, che, per circa cinquant'anni, ne è stato il più popolare e qualificato rappresentante, quasi il carrozziere per antonomasia. Cinquant'anni di duro e ininterrotto lavoro, dai lontani anni Trenta fino al 1985, nella sua carrozzeria sempre in via Roma, dapprima versante Pezze di Greco, poi versante Monopoli, fino all'ultima sede, lato Pezze di Greco, nei pressi dell'odierno salone auto dei figli. Una vita, dunque, in mezzo a vernici e lamiere, di cui conosceva ogni segreto e anche l'arte di trasformarle, le macchine di ogni tipo sempre in cima ai suoi pensieri.
Ma, come abbiamo già visto, la carriera di Leonardo Latorre era incominciata molto prima, fin da ragazzino, con il lungo tirocinio presso i vecchi maestri artigiani, tra cui amava ricordare anche i fratelli Sante e Martino Loprete, due fabbri dalla voce tonante che solevano “cerchiare” le grandi ruote dei traini davanti alla loro bottega in via Musco versante cimitero, le possenti braccia che forgiavano con il martello sull'incudine i cerchioni di ferro ancora roventi. Maestri quindi diversi, i suoi, da quelli del ferro a quelli del legno, il che servì a dare al giovane “Giolitti” una cultura artigianale eclettica che fece di lui un carrozziere completo.
Chi scrive aveva la propria azienda di fronte alla sua carrozzeria, e ha avuto modo di seguire dall'inizio e per oltre venti anni il suo lavoro.
La fine dell'ultimo conflitto aveva trovato il nostro parco automobilistico ridotto quasi al lumicino, e la produzione stentava a ripartire. Mancavano gli autoveicoli da trasporto di ogni tipo, che la ripresa dei commerci rendeva indispensabili; mancavano particolarmente i piccoli autocarri e i furgoni, più adatti al piccolo commercio. Ecco quindi il boom della trasformazione di vecchie autovetture in autocarri, furgoni e furgoncini, un lavoro che, come abbiamo visto, era già stato avviato dal Sardella, e che trovò particolarmente preparato il nostro “Giolitti”, impegnandolo per tutti gli anni Cinquanta e parte dei Sessanta. Ogni giorno venivano a trovarlo clienti dai paesi vicini, venditori ambulanti, piccoli commercianti di alimentari, verdurai; arrivavano pure i famosi “cappottari” di Martina Franca. Ognuno aveva bisogno del suo furgone, e “Giolitti” cercava di accontentarli tutti, anche se le attese erano un po' lunghe.
In quei primi anni del dopoguerra per i nostri carrozzieri ci fu molto da lavorare anche nel settore dei camion. Vi erano infatti in circolazione ancora molti camion vecchi da revisionare, in attesa della ripresa della produzione di nuovi autoveicoli da trasporto. Occorreva rifare il cassone oppure l'intera carrozzeria, e gran parte dei nostri camionisti, e anche altri dei paesi vicini, si affidavano a “Giolitti”, che non sfigurava affatto nel confronto con le rinomate officine baresi di Peppino Calabrese.
Anche qui i tempi delle attese erano piuttosto lunghi, e ne sapevano qualcosa i nostri amici fratelli Quaranta e i fratelli Distante di Cisternino, che vedevamo spesso stazionare pazienti davanti alla carrozzeria. Ma il nostro “Giolitti” era altrettanto bravo nel saper calmare le loro impazienti attese intrattenendoli in vivaci e piacevoli conversazioni.
Un settore particolarmente curato dal maestro era quello della tappezzeria, da lui affidato alle mani esperte di Battista Di Tano, che molti di noi ricordano.
In quanto al “Giolitti” carrozziere puro, sicuramente fu un mago della lamiera, un piccolo nostro “Pinìn Farina”, come scherzosamente amavamo spesso appellarlo, suscitando il suo sorriso scettico. Perché in fondo egli era una persona di grande umiltà e modestia, due virtù dietro le quali non era difficile cogliere un'intelligenza viva e creativa, che semplificava ogni problema tecnico trovando sempre le soluzioni più razionali. Amò il suo mestiere facendone quasi un'arte e, in quanto a professionalità, spesso l'abbiamo visto compiere dei veri miracoli: macchine ridotte a un cumulo di rottami rinascevano più belle e fiammanti di prima. Queste doti e virtù egli cercò di trasmettere ai suoi numerosi allievi, ai suoi “ragazzi” che gli volevano bene e che lui trattò sempre con grande umanità e familiarità: mai un gesto di insofferenza o superiorità, perché ricordava che anche lui era stato un “ragazzo” e aveva sempre rispettato i suoi maestri. E gran parte di quei “ragazzi”, oggi diventati maturi “maestri”, rappresentano l'odierna e folta schiera dei nostri carrozzieri.
Resta da dire dell'ultimo “Giolitti”, il pensionato, quello “costretto” alla pensione dall'amore dei suoi familiari, così lontano dal personaggio a noi noto da apparirci quasi inverosimile e surreale. Amava trascorrere le sue giornate in via Roma, versante Monopoli, davanti a un salone auto dei figli dove alcuni amici si fermavano a conversare con lui. Anche noi qualche volta ci siamo fermati, e nei suoi discorsi affioravano tanti ricordi, ricordi di uomini e di macchine che erano state la sua vita e che sembravano quasi personalizzarsi. L'ultima volta ci parlò del vecchio padre Francesco, un carrettiere che aveva fama per l'ordine e la precisione con cui amava disporre i carichi sul suo traino. Ordine e precisione che sicuramente sentiva di avere da lui ereditato. Ora le macchine si limitava solo a guardarle, ma non di rado il vecchio istinto del mestiere si risvegliava e, afferrato uno straccio, dava ancora un'ultima “spolverata”.
P.S. - Nei primi decenni del secolo scorso, a Fasano, il paese dei più coloriti e audaci soprannomi, ne fiorirono alcuni ispirati a noti personaggi storici e politici: Garibaldi, Masaniello, Cadorna, Cavour, Giolitti, ecc. Quest'ultimo era stato dato a Francesco Latorre, carrettiere, padre del nostro Leonardo, poiché, nella Grande Guerra del 1915-18, fu uno dei pochi giovani del paese che riuscì a evitare il servizio militare. Di qui il facile accostamento a Giolitti, notoriamente pacifista e neutralista.
di Marzio Perrini
di Redazione
31/05/2015 alle 12:26:52
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