LA SCOMPARSA DI UN PERSONAGGIO DA TUTTI CONOSCIUTO E STIMATO
Peppino, il postino gentiluomo
Da Osservatorio n. 9 – settembre 2000
Pepino De Leonardis nelle vesti di speaker della Fasano-Selva che lo aveva reso familiare a tutti
Dopo una lunga malattia, è scomparso il 1º settembre Peppino De Leonardis, per più di trent'anni portalettere da tutti conosciuto e stimato, oltre che militante ed esponente di primo piano del Pci fasanese. Da credente e praticante, qual era, coltivava la grande utopia della conciliazione fra le sue due fedi: quella cristiana e quella comunista. Era insomma una personificazione dell'anima rodaniana del Pci, partito-chiesa per eccellenza. La sua passione politica lo portò a essere eletto consigliere comunale la prima volta il 15 giugno 1975, con 384 voti di preferenza. Ma il suo momento di grande fulgore lo visse nel giugno 1980, quando fu rieletto nell'assise municipale con ben 806 voti, secondo solo al capolista del suo partito, Emanuele Vinci.
Erano i tempi del “compromesso storico”, formula politica quanto mai congeniale al cristiano-marxista De Leonardis. Proprio lui, insieme a Nicola Latorre, andò a formare la coppia di assessori comunisti nella cosiddetta “giunta di solidareità” composta da Dc, Psi, Pci e Pri: il famoso “pentapartito a quattro” (definizione di Mimì Mileto) che sotto la guida del democristiano Antonio Carbonara durò in carica fino ai primi mesi dell'83, quando il Pci tornò all'opposizione.
In quell'esperienza amministrativa a De Leonardis era stata affidata la delega all'annona e alla polizia municipale.
Peppino era nato a Fasano il 5 gennaio 1931, da Angelo De Leonardis e Palmina Rivizzigno. Da bambino aveva temprato il suo carattere e la sua educazione alla rigida scuola della maestra “donna Checchella” De Leonardis, proseguendo gli studi fino a conseguire la licenza di scuola media. Nel periodo fascista si era messo in luce come caposquadra dei “Balilla”.
Apprendista meccanico, si rivela ben presto un abile artigiano dell'automobile lavorando fianco a fianco coi migliori maestri del tempo, fra cui Giovanni Monopoli (detto a Curnàcchie) e Mondino Ventrella.
Nel 1951-52 presta servizio militare nell'esercito: svolge il Car a Palermo, poi è impegnato in un corso di specializzazione per geniere a S. Giorgio a Cremano (Napoli) con la qualifica di “motorista per gruppi elettrogeni”. Viene quindi trasferito a Treviso, ove raggiunge il fasanese Tonino Quaranta, allora giovane ufficiale dell'esercito (oggi generale in pensione), che nel 1958 sarà suo testimone di nozze. Infatti, nel 1953, a Treviso, Peppino conosce Virginia, che sposerà nell'agosto del '58 e che gli darà la gioia di cinque figli.
Dopo un'esperienza di lavoro a Roma, raggiunge la sua Virginia a Treviso, dove trova lavoro come caposquadra nella rinomata officina Lancia di Manarin. A causa delle disavventure economiche del titolare, però, l'azienda chiude i battenti. Siamo nel 1959: Peppino, che ha già un figlio, attraversa un grande momento di difficoltà, ritrovandosi senza lavoro. Nel febbraio del 1960 muore a Fasano suo padre Angelo, e Peppino, grazie alla benevolenza dell'allora direttore dell'ufficio postale, don Gerardo Brescia, subentra nel posto del padre come fattorino portapacchi delle Poste Italiane.
Così, nel giugno dello stesso anno, moglie e figlio possono raggiungerlo a Fasano, dove trovano casa in via Murri 3, attuale sede della Camera del Lavoro Cgil. Alcuni anni dopo ottiene la promozione a portalettere, consegnando ogni giorno la posta in uno dei quartieri più popolari della città, quello compreso fra corso Vittorio Emanuele, via Roma e via Dante Alighieri.
Peppino De Leonardis aveva un'altra grande passione: il calcio. Resta celebre la sua sfegatata fede nerazzurra, corroborata dall'aver ammirato più volte dal vivo i suoi beniamini dell'Inter durante la sua permanenza al Nord. A Treviso aveva allacciato amicizia con dirigenti e calciatori della squadra locale, allora militante in serie B: ancora fino a pochi mesi or sono ha mantenuto contatti personali col suo vecchio amico Magistrelli, ex calciatore del Treviso e allenatore della Virescit Bergamo fino a qualche anno fa. Nel 1963 Peppino fu tra i fondatori dell'Inter Club a Fasano e poi dirigente dell'Us Fasano ai tempi della promozione in 2ª Categoria, quando fra i biancazzurri militavano Peppino Palmisano, Vito Ancona (detto a Schiètte, altro grande tifoso nerazzurro), Camillo L'Abbate, Vittorio Fanizza, sotto l'indimenticata presidenza di don Matteo Colucci.
Per anni, Peppino De Leonardis è stato anche lo speaker del “Vito Curlo”: la sua lettura delle formazioni, prima della partita, era un vero rito. E nello stesso ruolo collaborò pure con la Egnatia Corse in molte edizioni della classica automobilistica Fasano-Selva.
Quando soffriva sulla tribuna dello stadio
Ciao, Peppino. Ci vediamo la prossima volta, al campo sportivo. «Se il Signore lo vorrà», rispondeva con tono che non era certo clericale, ma emanava energia da ogni sillaba. Era un tono sempre incredibilmente vivo, forte come crediamo sia stato lui, come vogliamo immaginarcelo fino all'ultimo momento, fino a quando quel Signore in cui credeva non lo ha chiamato a Sé. Privandoci per sempre dell'intelligenza e dell'umanità di una persona che sapeva dare a tutti un consiglio giusto, una parola saggia, un prezioso incoraggiamento per qualsiasi situazione. E quando era qualcun altro a incoraggiare lui, a dirgli di tener duro, di non mollare (e non ce n'era bisogno), non faceva piagnistei, non metteva in mostra le sue sofferenze, non si piegava nel vittimismo, perché non voleva turbare o disturbare chi gli stava di fronte: con l'educazione e la discrezione di un uomo d'altri tempi, con innata finezza e fierezza d'animo. Conosceva l'energia degli ideali, sapeva come lottare e come parlare con chiunque, e dava sistematicamente l'impressione di non temere nulla e nessuno. Perché aveva in sé il coraggio della lealtà e dell'onestà, possedeva i doni della sincerità e dell'integrità morale. Era lontano anni luce dall'ipocrisia che deborda ovunque. Inimitabile, imperdibile, a volte persino commovente nel prodigarsi con gioia per gli altri. «La classe operaia va in paradiso», esclamava rivolto al buon terzino Donato Colucci, per rimarcarne la bella prestazione domenicale al “Vito Curlo”. E gli arbitri, quelli li apostrofava amabilmente, ciascuno nel dialetto della città o regione di provenienza. Chi può dimenticare, poi, la signorilità che era perfetta e autentica, tanto nel semplice saluto per strada quanto nell'annunciare le formazioni calcistiche al microfono dello stadio? Era un uomo che sapeva stare e dialogare con gli uomini, con inesausta vivacità e un entusiasmo coinvolgente, contagiante, sempre volto al futuro, che secondo lui doveva e poteva essere migliore. Era l'ottimismo di chi amava la gente, di chi amava la vita, di chi col cuore si interessava al mondo. E se la classe operaia è andata davvero in paradiso, speriamo che abbia accolto il buon Peppino come ha profondamente meritato.
di Redazione
22/04/2015 alle 18:52:12
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