FIGURE
Tonino
Da Osservatorio anno I n. 5 - 15 novembre 1986
“A mé ssé niìnte ?” Questa domanda fatta in un dialetto storpiato, che vorrebbe significare: “Maestra, c'è niente?”, emessa con una vocetta penetrante, ma scolorita, sfocata, velata, denunziava senza equivoci la presenza di Tonino il conciapiatti.
Tonino si poteva incontrare con ogni tempo per strade di campagna, in ogni stagione: col vento umido e freddo di gennaio, e nell'ardente calura del luglio.
Di lontano, su strade bianche di polvere e deserte, sembrava il fantasma di un antico brigante, e metteva paura, ma poi, vedendolo nitidamente ci si sentiva confortati: “Ah! È Tonino”. La strada per Tonino era sì un luogo per cui passare, ma ancora più era bottega, era casa, forse talvolta era anche letto: in una parola per lui la strada era la vita. Nella strada egli trovava tutto: avesse avuto bisogno di un colloquio, di un contatto umano, di un sorso d'acqua, di un pezzo di pane, non doveva che affacciarsi al primo abitato o villa o masseria a cui passava d'accanto: non doveva spiegazioni perché lo conoscevano tutti, almeno nel raggio di dieci chilometri da Fasano, come Tonino delle “poste”. Tonino non era un giovanotto, forse non era mai stato né giovane né fanciullo. La sua figura era senza età, inalterabile; il suo viso impassibile, inespressivo, sembrava di cuoio come quello delle mummie; la coppola, la camicia, i pantaloni, le scarpe, il grembiule, avevano assunto al sole, un colore uniforme come di sabbia chiara.
La donna, uscita sulla porta, al sentire la nota voce, faceva fatica a riconoscere Tonino, immobile come un masso, e silenzioso, accanto ad un cumulo di sassi; ma dopo poco diceva: “Ah! Sei tu? No! Tonino, oggi, niente”. E Tonino con la testa alta, dal profilo netto, con la faccia magra, tesa come una vela spiegata al vento, angolata rispetto alla direzione di marcia, andava dinoccolato e ondulante fino all'altro abitato, dove ripeteva il suo quesito. Tonino, infatti, non gridava al vento la sua presenza e la sua attività di conciapiatti come i venditori ambulanti, egli non aveva molto fiato e non ne sprecava; e poi preferiva il contatto immediato, diretto, con la potenziale cliente; sapeva che così poteva meglio agganciarla e farle vin cere l'inerzia, la pigrizia; superare il senso di fastidio che senza dubbio le cagionava la prospettiva di avere il conciapiatti seduto nel piazzetto antistante alla casa di campagna; di dovergli presentare le cretaglie rotte, contrattare il prezzo del servizio, assisterlo nel suo lavoro fornendo acqua per l'impasto di cemento, e altre eventuali prestazioni.
Tonino posava il trapano di legno dalla strana foggia di antica balestra che impugnava, poggiava per terra la sua complicata e misteriosa cassetta lunga e simile ad una faretra, che gli pendeva dalla spalla sinistra, ed era tenuta orizzontale per mezzo di una larga cinghia, e sedeva all'ombra di un albero; allora, a me sembrava, chi sa perché, un guerriero assiro in riposo. Subito si accingeva al lavoro. Grandi e piccoli, intanto curiosi, si facevano in torno, attratti da quest'uomo singolare, e dai suoi in usuali attrezzi di lavoro.
Singolare era Tonino perché la sua pronunzia, anche del dialetto, era molto approssimativa; la sua intelligenza, poi, non era così viva, così duttile come quella di una persona normale, egli stesso ne era consapevole: egli era quel che oggi si dice un “handicappato”.
Ma il suo difetto non era grave. Tonino aveva saputo su perare le sue difficoltà, e partecipare alla vita sociale. Si era scelta perciò, la occupazione di conciapiatti adatta alle sue capacità e possibilità, che lo rendevano utile in città e prezioso in campagna. Era anche armato di pazienza. La gente spesso lo trattava come lo scemo del paese, ma Tonino scemo non era, e per questo spesso lasciava correre; talvolta partecipava allo scherzo; in qualche caso però reagiva con sue pronte e dure risposte. Se un ragazzo maleducato lo canzonava col vieto distico: “Tonine u maccaraume / maine a poste au buttegliaume” (Tonino il maccarone / mette la ‘posta' al bottiglione), Tonino subito rispondeva: “Au buttegliaume de màmete” (Al bottiglione di tua madre). La donna interessata, anche se di scarsi studi letterari, intendeva subito il valore epesegetico del genitivo “de màmete” e reagiva con schiaffoni al ragazzo, tanto più pesanti e numerosi, quanto più la metafora di Tonino risultava appropriata.
Del suo mestiere Tonino era gelosissimo e non vi ammetteva interferenze od osservazioni: a quelle degli uomini, di solito, rispondeva stringato ma con educazione: “A mé nasse pu fé” (maestra, non è possibile la cosa); a quelle delle donne, specie quando venivano poste con insistenza e petulanza, rispondeva icastico e brusco: “Vouè femmne, capidde longhe, i cevevidde curte” (Voi, donne, avete capelli lunghi, e cervello corto). E le destinatarie del motto reagivano ridendo, ma ridendo amaro; e smettevano. Tonino non era esoso nelle sue prestazioni, ma cercava di adeguare i compensi richiesti all'aumento del costo della vita secondo una sua misteriosa tabella mentale. I conti li chiudeva ogni sera nel suo “sottano”: tanto per mangiare, tanto per i vizi (fumo), tanto per le spese varie, e tanto da mettere in serbo. Già, perché Tonino dopo la morte della madre, ormai solo, prevedeva che un giorno quando le forze non gli sarebbero bastate per andare in giro, avrebbe dovuto attingere al gruzzolo. “Tonino, i soldi li de positi in banca?” Chiedeva qualcuno. E Tonino: “No”, “E dove allora?” “Sotto la chianca”. E batteva il piede sul selciato per farsi meglio intendere. Della banca non si fidava per via di vaghi discorsi ascoltati tanti anni prima, in cui si parlava di fallimenti di talune di esse.
Il lavoro con Tonino bisognava sempre contrattarlo. Si doveva pattuire sia il numero delle “poste”, cioè dei punti, che il prezzo per punto. Il cliente avveduto doveva giocare al rialzo sul numero dei punti, al ribasso sul prezzo unitario. Già; perché dei punti Tonino era avaro, e ne decretava necessari sempre meno di quanti richiesti dal cliente: “Avasse, avasse” (basta, basta) diceva. E intendeva dire che troppi punti rovinavano l'aspetto del vaso senza nulla aggiungere in robustezza. Insomma, Tonino teneva molto alla sua onestà professionale e al rispetto dell'“arte”. Il prezzo invece appariva subito esorbitante, poi via via Tonino si lasciava persuadere e borbottando, si rassegnava a più miti pretese. Bisognava prenderlo con le buone: “Tonino, con questo caldo, alla controra, dove vuoi andare?”, diceva una massaia. “Siedi qui al fresco, sotto l'albicocco, mi fa, il lavoro, ti mangi alcune albicocche col pane, e ti bevi un bicchiere di vino”. L'idea del bicchiere di vino lo addomesticava. Non ri spondeva nulla, ma si sedeva. Se, però, Tonino capiva che si voleva sfruttarlo, farlo lavorare senza un corrispettivo ragionevole, allora tagliava brusco con la famosa risposta: “A mé, nasse pu fé nijnte!”. (Maestra, non si può fare niente), e se ne andava. Talvolta, non si accordava, ma solo per dimostrare di essere un duro, per modificare, se possibile, la fama di remissivo e arrendevole, di cui godeva. E allora le donne: “Sei diventato brutto, caristoso (che vende ad alto prezzo), Tonino”. Ma Tonino non mollava.
Non era, però, schematico, nei suoi rapporti “commerciaili”; era dotato di elasticità e duttilità. Studiava la cliente. Se capitava ad una masseria, o azienda agricola, accettava anche compensi più bassi del solito, ma poi chiedeva-regali in natura: un pezzo di pane, un quartino di vino, dell'olio, legumi, fichi secchi: e veniva accontentato. Talvolta si faceva anche audace: “A patraume, a ddé u picche casce?” E la massaia: “Tonino, ora ti meni proprio nella vigna piena! Il cacio noò Eh! No! Non si tocca il cacio!” E allora Tonino come uno scolaretto colto in flagrante si faceva rosso, scomponeva il suo volto impassibile, e lo atteggiava ad un suo strano livido e fisso sorriso a cui partecipavano tutte le rughe della fronte e della faccia; gli occhi si accendevano di ingenua malizia e tutto il suo viso era immerso in un diffuso chiarore: come se da uno squarcio di nubi cineree e cupe irrompesse, obliquo e azzurrino, un fascio di luce. Il suo viso restava contratto dal riso per lungo tempo, ben oltre la fine della breve conversazione con la cliente, quasi a commiserare se stesso, la propria audacia e pochezza. Era il suo modo di riconoscere il torto, di essere andato oltre il limite.
Tonino aveva vissuto anche un suo romanzo d'amore. Egli era sposato, ma la sua vicenda coniugale era stata sfortunata: forse la donna non aveva saputo capirlo, e si erano lasciati. Ma a Tonino era rimasto un groppo, un rovello che gli aveva incupito ancora di più il carattere.
Le male lingue attribuivano a Tonino incapacità al matrimonio; e aggiungevano particolari scabrosi, forse inventati, circa la sua vita coniugale. Tonino, stuzzicato, talvolta, parlava della moglie brevemente, con un suo risolino sarcastico, e subito chiudeva l'argomento. Altre volte, però, se l'interlocutoregli ispirava fiducia,
Tonino parlava più a lungo, e, con quel suo difficile e sintetico linguaggio, scopriva il fondo del suo animo esacerbato, e induceva al rispetto e alla compassione.
Per tanto tempo Tonino è stato quasi un personaggio indispensabile nelle vie di Fasano: sia di quelle del vecchio centro abitato, che di campagna.
Poi vennero in uso gli oggetti di plastica e il lavoro per Tonino si fece più scarso. Perciò egli fu costretto ad allungare i suoi percorsi; mise piede anche sulle strade di grande traffico: ma quelle gli erano ostili: passavano automobili veloci, autocarri, motocarri, motocicli e lo respingevano come fosse una pagliuzza.
Tonino sentiva che il suo tempo era passato. Talvolta si fermava a guardare con tristezza e affetto il suo compagno di lavoro, l'arcaico trapano di legno a movimento alternato; osservava la corda che avvolgendosi e svolgendosi lo faceva ruotare e, ai miei occhi, lo rendeva simile ad un'antica arma balistica.
Una sera d'estate, sulla via Nazionale dei Trulli, nel crepuscolo; quando ogni cosa perde il suo colore, si accendono le luci e palpitano le prime stelle, una macchina veloce urtò la cassetta sporgente dalla spalla di Tonino, e spietata proseguì la corsa. Tonino, come in un lampo, vide un arco di cielo e di luci: poi buio.
Fu trovato, l'indomani, riverso nella cunetta: aveva ancora la cassetta in spalla e nella destra stringeva il suo ligneo trapano dal puntale d'acciaio: la strada, ora, per lui, definitivamente era tutto: la sua tomba. Egli giaceva rigido, composto, con un'espressione del viso, sdegnosa e austera; e come nel suo sarcofago vestito delle sue armi, circondato dei suoi guerreschi strumenti, un nobile guerriero antico.
Di Giuseppe Marangelli
di Redazione
06/04/2015 alle 12:22:14
Leggi anche:
Macelleria Peppino De Leonardis
Carni e prodotti freschi e alla brace
La storica macelleria De Leonardis con fornello pronto tutte le sere