LA TRADIZIONE DEI “SEPOLCRI”
Fili di grano, proteggetemi voi
da Osservatorio n. 4 – aprile 1996
Tra fede, religiosità popolare e folklore, i fasanesi hanno vissuto anche quest'anno i riti del Venerdì Santo in modo intenso. Si sono ritrovati uniti, accomunati dalla stessa ansia e pervasi dalla medesima speranza sia nel seguire le processioni dei Misteri, cariche di drammaticità, sia dinanzi ai “Sepolcri”, allestiti mirabilmente in tutte le locali chiese.
La nostra attenzione vuole concentrarsi sui “Sepolcri” secondo l'antica tradizione, non tenendo conto degli “altari per la reposizione del SS. Sacramento” approntati nelle chiese parrocchiali. I “Sepolcri” propriamente tali sono «costituiti con le statue della Passione, pure solenni, ma austeri, immersi in una atmosfera appunto sepolcrale» (G. Marangelli, Fasano-Rivista di cultura, anno VI, n. 15, gennaio-giugno 1985, pag. 14).
Ha destato più vive emozioni il “Sepolcro”, che ha certamente accolto un maggior numero di visitatori, preparato nella suggestiva chiesetta della “Madonna delle Grazie”, dove tanti hanno riscoperto, nell'antico silenzio, il senso e il valore del Calvario di Cristo, sciogliendo, si in commossa preghiera.
E questa una cappella molto cara al popolo di Fasano per motivi storico-affettivi che emergono in modo più intenso ed evidente dalla devozione spontanea e tenace sia delle persone più anziane, sia in particolare delle famiglie che risiedono nelle vicinanze della chiesetta stessa. Infatti la medesima, che secondo il Sampietro era «aperta al pubblico solo il 2 luglio, in occasione della festa» (Fasano-Indagini storiche, rist. anast. Schena, pag. 330), è invece attualmente aperta al culto in maniera permanente, custodita con amore dalla devozione del popolo con il patrocinio della Confraternita del SS. Rosario.
Ne è conferma la sana consuetudine delle nostre mamme, così come le nonne, di recitare quotidianamente il rosario inteso «come una preghiera carismatica e rassicurante» (v. L. De Venuto-B. Andriano Cestari, Santi sotto campana e devozione, Schena, 1996, pag. 82).
Come tutti sanno, la chiesetta sorge «di fronte alla chiesa dell'ex convento delle monache». Secondo il Sampietro essa è «la cappella di Santa Maria dell'Arco, detta ora della Madonna della Grazia ... L'antica denominazione ‘dell'Arco' indicava la presenza di un arco accanto ad essa, che dovette, a mio credere, essere aperto nel muro di cinta quando fu costruita la chiesa del monastero (inaugurata il 3 maggio 1694) per metterla in comunicazione con la vecchia Terra ... » (v. G. Sampietro, Fasano-Indagini storiche, rist. anast. Schena, pagg. 330-331). Il Sampietro precisa che dalla fine del Seicento apparteneva all'Università (Comune) a cui appartiene tuttora. La scarsa attenzione delle autorità ha purtroppo consentito un certo abbandono, degenerato in degrado, di questo cimelio storico della pietà fasanese, e solo da pochi anni è stata recuperata l'antica struttura, ora affidata alla custodia della Confraternita del Rosario.
Una croce di tredici ceri bianchi, simboleggianti Gesù e i dodici apostoli, sistemata ai piedi dell'altare tra fiori atavici (bocche di leone, ginestre, violacciocche rosee e odorose), ha accolto i fedeli invitandoli alla riflessione. Dolore, fragilità e sofferenza in quella Croce, accanto a fiammelle di speranza tese ad illuminare il grano (la vita) «fatto accestire al buio in recipienti poco fondi, contenenti un po' d'acqua» (Marangelli), che tappezzava l'altare.
Tappa obbligata dello stesso itinerario di fede, la vicina chiesa della Madonna del Rosario, il cui culto rimane ancora molto vivo in Fasano. In questa chiesa l'effetto scenografico del “Sepolcro” si sviluppava in un contrasto di immagini e colori, sensazioni e sentimenti, dramma e ancora speranza. Un'esperienza visiva e spirituale irripetibile!
Su un verde tappeto di felce, interrotto qua e là da macchie di fresie, tulipani gialli, rossi e screziati, ranuncoli e lilium; a sinistra “nell'angolo della penitenza” Gesù nell'orto degli ulivi, e ai suoi piedi un luminoso cuscino di iris rosa; a destra l'Addolorata, e per Lei iris bianchi. Sul Golgota, realizzato in carta roccia, s'innalzava gigantesca una Croce di gerbere bianche, a simboleggiare il trionfo di Gesù risorgente con la speranza che la Sua risurrezione sia anticipo della nostra. Incorniciavano questo struggente quadro, il cui addobbo floreale è stato disposto dalla Confraternita del Rosario e preparato (come nel precedente “Sepolcro”) da Onofrio Montalbano, tante ciotoline di fili di grano, giallini e fragili, resi più suggestivi dalla credenza popolare di un potere “miracoloso” contro il maltempo. Il grano del Venerdì Santo, infatti, è legato alla tradizione folkloristica del ‘‘Volto Santo”.
In occasione di un temporale, si mette sul balcone o sull'uscio di casa un canestrino contenente un'immagine sacra, preferibilmente “a traforo”, un ciuffo del grano del “Sepolcro” conservato religiosamente, e un pezzo di pane benedetto distribuito ai presenti (secondo l'usanza durata fino a pochi decenni addietro) nel corso della celebrazione della messa in coena Domini del Giovedì Santo, per portarlo a casa. Un misto di superstizione e religiosità istintiva contro le misteriose forze maligne della natura.
Il raccoglimento, espresso anche da tanti giovani, possa consentire alla nostra società turbolenta, distratta ed infelice, di recuperare la speranza che il miracolo della Croce possa ancora, secondo l'espressione di mons. Cosmo Francesco Ruppi, essere «l'unico capace di cambiare la storia».
di PALMINA CANNONE
di Redazione
31/03/2015 alle 15:18:32
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