EXPLOIT DELLA “PEPPINO MANCINI” COL CAPOLAVORO DI MOLIèRE
Malato immaginario, bravura reale
Da Osservatorio n. 3 – marzo 2000
Il nostro Molière: non poteva trovare titolo migliore per il suo ultimo lavoro il Gruppo di Attività Teatrali “Peppino Mancini”, tornato a proporsi al pubblico del Teatro Kennedy dopo quasi tre anni di assenza. Sì, perché il tratto distintivo dello spettacolo portato in scena il 23 e 24 marzo dai dilettanti fasanesi è senza dubbio la personalissima originalità nella rielaborazione della pièce del grande commediografo francese, non soltanto nel sapiente adattamento del regista Gianni Sigrisi, ma anche e soprattutto nella intelligenza con cui i protagonisti hanno saputo rimescolare quel tanto che basta le carte senza violentare il testo, ma riuscendo comunque a renderlo maggiormente proponibile al pubblico “fatto in casa”. Insomma, ancora una volta la “Mancini” ha saputo “giocare” col teatro, divertendo e divertendosi. Ma non è questa forse l'essenza stessa dello stare in scena? Forse che giocare e recitare non sono espresse dalla stessa parola in quasi tutte le lingue? (jouer in francese, to play in inglese, ma anche igrat in russo!).
Se poi si riesce a giocare-recitare presentando un livello generale di resa scenica eccellente per attori dilettanti («Sembrano attori veri!» era il commento più ricorrente fra le poltrone nelle due serate), allora il risultato è raggiunto in pieno.
La cosa che fa più piacere è notare come, a ormai 9 anni dal suo debutto sulle scene fasanesi (ricordate i Promessi Sposi Show?), a ogni nuovo spettacolo la “Mancini” fa inesorabilmente un passo avanti per qualità e, di conseguenza, successo. Dopo la parodia pura dello spettacolo d'esordio nel giugno del '91, e il viaggio nel musical con Ceneruzza dell'ottobre '92, entrambi apprezzati da tutti, nell'ottobre '95 arriva il primo autentico trionfo con il memorabile Ogni anno punto e da capo: orchestra dal vivo, soubrette, ballerine, ma soprattutto tre-ore-tre di spettacolo a consacrare definitivamente il lavoro di questa compagnia di amatori. Poi, nel marzo '97, il salto di qualità con Sottobanco, testo “difficile” da recitare per dilettanti e da accettare per un pubblico abituato alla risata, ma prova alla fine egregiamente superata.
E l'ultimo spettacolo è sembrato, in definitiva, l'approdo naturale d'un percorso che con Sottobanco aveva imboccato la difficile via della qualità nella recitazione. Merito senz'altro e prima di tutto della regia di Sigrisi, la cui bravura è stata in particolare quella di saper tirare fuori il massimo da ciascuno degli attori improvvisati che aveva a disposizione, esaltando le doti di ognuno: la figura sorniona e la madrelingua napoletana di Franco Romano, calzante nel sottolineare col tono di voce biascicato e i lenti movimenti le fisime di un Argan, il quale piuttosto che affrontare il mondo e la vita si trincera dietro una finta condizione di malato grave; la presenza scenica di un gruppo di elementi che sul palco si muovono come nel cortile di casa, cioè Leda Laveneziana (la serva-padrona Antonia che con le sue manovre dietro le quinte riesce ad evitare che Angelica, figlia di Argan, sposi il marito impostole dal padre), Pasquina Cuzzupé (appunto Angelica), Valerio Bianco (Cleante, segreto fidanzato di Angelica ed anche, ma lo sapevamo dai tempi di Ceneruzza, voce niente male) e Marisa Sansonetti (punto fermo della compagnia, nel ruolo della seconda moglie di Argan, Belina). E poi, le doti innate di un trio di caratteristi che rendono forse la seconda scena del primo atto il pezzo migliore del lavoro: Franco Palmisano, il notaio Bonafede dalla cantilena falsa e servile, molto cresciuto rispetto ai suoi già brillanti trascorsi nelle sacre rappresentazioni; Armando Bianco, il professor Cagherai, che sembra reciti da una vita e che con quella capacità di modulare la voce può fare quello che vuole; e Rosanna Piscitelli, forse aiutata dai precedenti di allieva di scuole teatrali in quel di Firenze ai suoi bei tempi, ma se il risultato è questo delizioso Tommaso Cagherai, figlio del professore e promesso da Argan a sua figlia, bè, allora il tempo fu ben speso!
Infine, le parti meno lunghe: la collaudata “strana coppia” Nicola Giordano Cardone e Ugo Patisso, sempre fantasiosi e divertenti nei ruoli del prof. Fecis e del dott. Aulenti, medici di Argan; l'autentica rivelazione Antonietta Nobile, sorprendente nel tratteggiare come meglio non si poteva la figura di Luisona, seconda figlia di Argan; la paciosa e imponente Rosanna Petruzzi, autorevole Beralda, sorella di Argan. Nota di plauso anche per le scene e i costumi, uno dei punti di forza dello spettacolo. Pino Brescia ha dimostrato una volta di più che l'essenziale, fatto bene, è la soluzione che meglio sottolinea la recitazione senza prevaricarla: gli ovali argentei su fondo nero, punto d'incontro fra Seicento e modernità, sono le finestre dalle quali i diversi interessi e punti di vista si presentano al “circo” della vita, che è il palco; ma soprattutto la poltrona di Argan, macchia rossa, centro cromatico e fisico di tutte le manovre, le ipocrisie e i doppi giochi dell'esistenza. E i costumi, deliziosa sintesi di antico e moderno, specie nel contrasto giacche-pantaloni-papillons degli abiti maschili, segno evidente che, Seicento o Duemila, gli schemi del mal vivere sono e rimarranno sempre quelli. Brava “Mancini”, avanti tutta così.
«Il nostro segreto è l'autoironia»
Scroscio di applausi per Il nostro Molière della “Peppino Mancini”, ovvero Il malato immaginario. Il presidente dell'associazione teatrale, Nicola Giordano Cardone, ha risposto volentieri ad alcune domande di Osservatorio.
Da quanti anni il vostro sodalizio artistico calca le scene?
«Abbiamo iniziato nel 1991».
Si ricorda il numero degli spettacoli presentati al pubblico in tutti questi anni?
«Ci provo: I promessi sposi di Alessandro Manzoni, Ceneruzza in un adattamento di Maria Teresa Marasco, Ogni anno punto e da capo di Eduardo De Filippo, Sottobanco, Pinocchio e lo spettacolo musicale La luna, ideato dal nostro staff».
Come mai quest'anno è stata scelta la rivisitazione integrale de Il malato immaginario di Molière?
«La scelta è stata operata dal nostro regista Gianni Sigrisi, che all'operetta ha preferito un'opera in prosa classica».
Durante le prove avete avuto particolari difficoltà tecniche?
«No, non c'è stata neanche l'esigenza di “microfonare” gli attori durante le prove, mentre l'allestimento scenico ha percorso i binari della leggerezza e della semplicità in virtù di una buona macchina organizzativa. Il pericolo della risata irresistibile è stato comunque fugato facendo ricorso alla nostra puntuale dose di auto-ironia».
La “Mancini” si aggiunge ad altre compagnie locali di teatro amatoriale che privilegiano testi in vernacolo e attirano l'attenzione del pubblico. Oltre alla recitazione intesa in senso tecnico cos'altro vi differenzia da questi gruppi?
«L'originalità propositiva, l'impegno costante nonché la passione e il perfezionamento scenografico». (Antonella Demola)
di Redazione
24/02/2015 alle 13:00:26
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