MAGIA DEL NATALE NELL’ANTICO RICETTARIO FASANESE
A tavola col Bambinello
da Osservatorio n. 12 – dicembre 2006
Le cartellate
Il banchetto natalizio riveste un valore speciale sia dal punto di vista sociale, di aggregazione, che per le pietanze servite in tavola. Fin dai tempi antichi, l'oca e il tacchino ne sono stati la base. Nel 1588, la vigilia di Natale, la regina Elisabetta I stava assaporando una squisitissima oca, quando apprese la notizia della disfatta dell'Invincibile Armata (l'invasore spagnolo). Fu allora che incoronò l'oca quale “regina” della mensa natalizia. Difficile stabilire quando l'oca sia stata, in seguito, sostituita dal tacchino, proveniente dall'America e conosciuto in Europa verso la metà del sedicesimo secolo. Pare sia stato il re Enrico VIII a banchettare con il tacchino il giorno di Natale e a diffonderne l'usanza.
In Italia i tradizionalisti, nel giorno più eccezionale dell'anno, mangiano il cappone, giovane galletto castrato perché ingrassi meglio e alla svelta. A Fasano lo si gusta a Natale, in brodo, magari con i gobbi (cioè i getti laterali del carciofo interrato, incartato e incurvato, perché le sue coste s'imbianchino e s'inteneriscano), come lo preparavano le nostre nonne, oppure con patate al forno e rametti di rosmarino. La fragranza di quest'ultimo è d'obbligo nella preparazione della pietanza, perché la leggenda vuole che il suo intenso odore sia stato un regalo della Madonna alla pianta, dopo avervi steso ad asciugare i pannolini del Bambino Gesù.
La presenza del cappone a Natale, o comunque nelle principali festività, si ritrova in una ricetta medievale, rivisitata da Maestro Martino: il biancomangiare. Si trattava di una delicata vivanda di colore bianco, sia dolce che salata, e tra i suoi ingredienti prevedeva latte o polvere di mandorle. Una delle più antiche ricette consisteva in petti di pollo cotti a lungo nel latte ovino o di mandorle, con l'aggiunta di farina di riso, lardo, zucchero in polvere. Maestro Martino sostituì il pollo con il cappone, abolì il lardo e introdusse tra gli ingredienti il brodo di cappone, la mollica di pane bianco, lo zenzero e l'acqua di rose. Il biancomangiare medievale approdò nella versione dolce sulla tavola fasanese di Natale, assumendo la denominazione vernacolare di lattamìngule. Era un particolare dolce al cucchiaio, ottenuto facendo bollire per dieci minuti in una soluzione di acqua e zucchero, aromatizzata con buccia di limone e un bastoncino di cannella, le mandorle precedentemente lessate, sbucciate e finemente tritate. Si aggiungeva la pastina del formato “puntine” e la si faceva bollire per cinque minuti. Veniva servito in coppette di porcellana.
Le mandorle, presenti anche negli altri dolci della tradizione natalizia locale: cupìte, torrone, castagnelle, paste secche, spumetti, rispondono ad una precisa simbologia. Il mandorlo, oltre a caratterizzare con l'ulivo il paesaggio fasanese, viene indicato come “albero della Madonna”. Secondo gli Ebrei indicava la speranza di vita nuova. Giacobbe immergeva nell'acqua in cui si abbeveravano le sue greggi rami di mandorlo, perché concepissero alla vista di essi. Nel libro dei Numeri si narra che Dio avesse ordinato a Mosè di scegliere i sacerdoti e farsi dare dagli israeliti dei bastoni. La scelta sarebbe ricaduta su colui il cui bastone sarebbe fiorito. Il prescelto fu Aronne: il suo bastone produsse germogli da cui sbocciarono fiori e maturarono mandorle. Dal nome latino virga, bastone, deriva l'appellativo Virgo attribuito alla Vergine, a simboleggiare ciò che – non fertilizzato – elargisce frutti. L'iconografia medievale spesso raffigura San Giuseppe con in mano un ramo di mandorlo fiorito, a memoria del suo essere solo il padre putativo di Gesù.
Con i gherigli di noce, invece, uniti ad altri ingredienti aromatici (cotto di fichi, cedro candito, buccia grattugiata di limoni, arance e mandarini, cannella in polvere, chiodi di garofano, zucchero, farina, polvere lievitante per dolci), venivano preparati in passato i sosomelli, in dialetto susemidde, pasticcini a forma di rombi. Essi richiamano alla memoria i “mostaccioli” di San Francesco, particolari biscotti di mandorle (non sappiamo se esista anche la variante con le noci), impastati col mosto cotto, dei quali era goloso il Poverello di Assisi. Li aveva assaggiati durante i suoi soggiorni a Roma, iniziati nel 1209 con la presentazione al papa Innocenzo III della Regola del nuovo Or-dine francescano. Una ricetta della pasticceria romana, dunque, adottata dalle nostre bisnonne con gli inevitabili cambiamenti, ma con un ingrediente in comune: il cotto preferibilmente di fichi. Ci piace rilevare, in proposito, che ancora oggi qualche signora fasanese si diletta a preparare questi sosomelli dal sapore insolito e degno dei palati più raffinati. Come ha detto qualcuno: «Anche in cucina il passato rimane una risorsa per il futuro», e ognuno può portare tra i fornelli la sua cultura e la sua creatività, tanto più nel periodo delle festività.
Continuando a parlare di dolci, altre leccornie tipiche sono le pettole col cotto, che, per la tradizione popolare, rappresentano le babbucce del Bambinello. E ancora le cartellate col miele, a ricordare i civettuoli merlettini (dono di alcune pastorelle) con cui Maria impreziosì, secondo la leggenda, le lenzuoline del Divino Neonato. Entrambi i dolci, mai soppiantati dalle nuove mode gastronomiche, costituiscono un legame indissolubile tra le vecchie generazioni e le nuove.
Sulla tavola natalizia non può mancare la verdura da mangiare cruda, come “sciacqua-bocca” o per mettere un po' in ordine lo stomaco troppo appesantito dalle luculliane pietanze: finocchi, sedani, lattughe, cicorie, ravanelli dei nostri orti, esportati in gran quantità anche all'estero per la loro bontà e unicità.
Non finisce qui. Altri “inquilini culinari” popolano la tavola di Natale: i “sopratavola”, ovvero ceci fritti, fave arrostite, castagne del prete, fichi secchi. Perché anche le castagne? «Sono la pace del focolare. / Cose d'altri tempi» canta Garcia Lorca nella Canzone orientale. “Pan di legno e vin di nuvole”, ovvero castagne ed acqua, rappresentavano il cibo dei poveri un tempo, a testimoniare che Gesù è nato in povertà e che i nostri avi hanno ingaggiato una lotta disperata per sostenersi.
Le castagne poi servono a rammentarci le guerre che ancora oggi impazzano nel mondo: «Al generale Cadorna / ci piace le bistecche / ai poveri soldati / dà le castagne secche», cantavano i soldati nella guerra del 1915-18.
La castagna ha un cuore nobile, ricco di liricità, che riunisce la famiglia dinanzi al focolare, tiene compagnia e si accompagna ad un bicchiere di vino genuino, scacciando la malinconia. Tante le ricette delle festività che la vedono tra gli ingredienti principali. Per soddisfare la curiosità dei lettori ci soffermeremo soltanto su due di esse: “Cosciotto di tacchino farcito con castagne” e “Castagne del prete”.
La prima ricetta ce la suggerisce Angelo Consoli. Dopo aver disossato la coscia di tacchino, preparare un ripieno con carne macinata di maiale e vitello, uova, prosciutto cotto tagliato a quadrettini, castagne cotte, uvetta, pinoli, un po' di formaggio, sale q.b. Impastare il tutto e farcire il cosciotto. Cucirlo, legarlo, cuocerlo come gli arrosti, ricavando sempre il fondo bruno.
Le “castagne del prete”, invece, si cuociono al forno insieme alla buccia, dopo averle accuratamente lavate ed asciugate; quindi si ammollano in acqua. Per gustarle, raccomandavano i nostri avi, si stringono tra gli incisivi per farne uscire la polpa cotta dal sapore dolcissimo. Si ricordi, inoltre, di non far mancare mai nella calza della Befana le castagne, simbolo di previdenza. Il frutto, infatti, è così generoso da elargire nutrimento per tutta la stagione invernale.
La maratona culinaria natalizia prevede anche il pesce, che volendo può sostituire il cappone o il tacchino, e tanti contorni: carciofi, lampascioni, cavolfiori indorati e fritti, e insalate varie.
E per frutta? Quella fresca, o in alternativa, se proprio si vogliono sbalordire i propri ospiti, consigliamo i “Cestini di mandarini con frutta secca” di nonna Palma. Un elegante modo per offrire la macedonia di frutta nella buccia di mandarini che con un po' di pazienza si potranno ritagliare a cestino. Naturalmente la macedonia sarà a base di mandarino, ma prevarrà la frutta secca. Dopo aver svuotato i cestini, ottenuti con la buccia dei mandarini, togliere la pelle agli spicchi facendo quest'operazione in un piatto, in modo che non vada perduto il succo che ne uscirà. Sbucciare una pera e una mela a piccoli dadini e unirle ai mandarini insieme ai chicchi di melagrana, alle mandorle tritate, ai fichi secchi, ai gherigli di noci tagliuzzati, e ai pinoli. Aggiungere un solo cucchiaino di zucchero; riempire con questa macedonia i cestini, guarnendoli con qualche ciliegia e amarena al cognac, o con corbezzole fresche o sotto spirito, tutte rigorosamente delle nostre colline.
Per i più piccini e per i golosi di cioccolato si possono preparare le “pere al cioccolato”, una ricetta antica, tratta dal ricettario orale di nonna Francesca. Per quattro persone, occorrono quattro pere, una noce di sugna, sostituibile oggi col burro, un cucchiaio scarso di farina, un uovo, un cucchiaio di zucchero, un quarto di latte, 30 grammi di buon cacao. Sbucciare le pere, tagliarle a metà eliminando il torsolo, quindi far cuocere nel burro per cinque minuti. Nel frattempo sbattere l'uovo con lo zucchero e unire la farina e il latte. Mettere al fuoco, incorporare lentamente il cacao e cuocere, sempre rimestando il tutto lentamente. Sistemare le pere in un piatto da portata e coprirle con la crema al cioccolato.
In occasione delle imminenti festività, consigliamo alle signore di vestire certamente a festa la propria casa abbellendone ogni angolo, per trasmettere gioia e calore, ma di riservare altrettanta cura alla tavola e al pranzo di Natale. Dovranno immaginare tra i commensali la presenza del Bambinello in persona, rappresentato – se è possibile – dal più piccolo della famiglia, felice di rivestire un ruolo così emozionante.
Del resto, un Natale a misura di bambino, ricco d'immaginazione e poesia, fa bene anche a noi adulti, restituendoci i sentimenti universali di serenità, calpestati dal deserto di valori della società odierna.
Un modo intelligente di vivere il Natale in una dimensione magica, anche a tavola.
Nel solco della tradizione
Proponiamo alcuni antichi menù per le festività, rispolverati dalla “biblioteca” della memoria fasanese.
Primo menù di Natale
Brodo di cappone (o tacchino) con gobbi (o riso o altro); cosciotto di tacchino farcito con castagne; capitone fritto o alla griglia; carciofi, lampascioni e cavolfiori indorati e fritti; formaggi assortiti; verdura cruda; “sopratavola”; gateau natalizio; pettole con il cotto di fichi, cartellate con il miele, sosomelli, torrone; frutta fresca paesana.
Secondo menù di Natale
Doppio ristretto in tazza con verdura; cappone con patate e rosmarino al forno; capitone allo spiedo con foglie di alloro; carciofi fritti; ricotta paesana; verdura cruda; “sopratavola”; frivolezze natalizie della tradizione fasanese; pere al cioccolato; cestini di mandarini con frutta secca.
Primo menù di Capodanno
Ristretto in tazza con profiteroles; capretto arrostito; lampascioni fritti a fiore; insalata mista; verdura cruda; occhi di lupo (bignè); frutta fresca.
Secondo menù di Capodanno
Cannelloni di ricotta; tacchino con funghi; carciofi alla parmigiana; formaggi locali assortiti; verdura cruda; torta di Capodanno; fantasia di frutta fresca e secca.
di Palmina Cannone
di Redazione
19/12/2014 alle 09:34:42
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